Elisa, quel diario per sconfiggere il male

Aveva 21 anni. Colpita da una grave malattia, ha raccontato il suo dramma che ora i familiari hanno voluto rendere noto

SAN VITO AL TAGLIAMENTO. Elisa Diamante ha 21 anni. Frequenta la facoltà di Infermieristica. Tenace. Volitiva. Entusiasta. È una giovane che assorbe il bello della vita come una spugna. Non ha paura. È ricca di futuro. Per questo non dà retta a quelle fitte lancinanti al fianco destro che la svegliano di soprassalto nel cuore della notte. Pochi giorni dopo si confida con Laura, una collega di studi: «Secondo me è un tumore». Non si sbaglia. La conferma le arriva con l’ecografia del 3 aprile 2009: ha un sarcoma. Tre anni dopo Elisa muore.

Tre anni in cui non ha mai smesso di sperare e nonostante la chemioterapia, la radioterapia e alcuni interventi chirurgici riesce pure a laurearsi. Tre anni riassunti in un diario, quello che tutti i giovani ammalati di cancro e ricoverati nell’Area giovani del Cro di Aviano scrivono per raccontare la loro vita con il male, il loro “rapporto” con il tumore. Quel diario ieri è comparso sulle pagine del nostro giornale. Lo hanno voluto far pubblicare il suo fidanzato, Federico Navarria, e l’amico di questi Adriano Mauro. Ma ne erano ovviamente a conoscenza anche la madre, il padre e la sorella.

Un diario che si conclude con queste parole: «Mi impongo ogni giorno di non piangere, di non stare male per le cose futili, per tutto quello che non mi compromette la vita, che può essere superato semplicemente con un’alzata di spalle e pura indifferenza. La promessa fatta a mio zio è tatuata sulla mia caviglia». A suo zio morto di cancro il giorno del funerale aveva giurato che non avrebbe più pianto «per cose futili, per tutto quello che non mi compromette la vita».

Elisa è morta il 25 aprile dello scorso anno. Il 25 aprile del 2011 a una festa a Trieste aveva conosciuto Federico Navarria, allora studente di medicina, oggi a Milano per lavoro. Fu amore a prima vista. «Ho studiato medicina con una motivazione in più, ma non voglio utilizzare questa vicenda per finire sul giornale. Voglio, abbiamo voluto che compaia soltanto lei. Che sia esaltata lei. Perchè lo merita. Perché è stata un esempio. Perchè l’amo», sono le sue uniche parole.

Tutte le persone che l’hanno conosciuta nei tre anni di calvario ne hanno ammirato il coraggio e la determinazione. Conduceva una vita normale, Elisa. Anche durante i trattamenti. «Mai un lamento – ricorda sua madre Rosalba – mai il muso duro, mai una smorfia di dolore nascosto. Soltanto una volta, quando ormai il respiro era bloccato dal male, a pochi giorni dalla morte mi disse “mamma non ce la faccio più”». «Ci manca, ci manca tantissimo – le fa eco Marta, la sorella maggiore che fa l’avvocato –; con lei ho condiviso tutto, a cominciare dalla nostra camera. La malattia le è piombata addosso nel pieno della sua vita. Non si è mai lamentata. Resterà un esempio indescrivibile».

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