Enrico Ponta: «Calò il silenzio, c’era vento pensavo fosse un tornado»

TREPPO. Di giorno la gente reagiva, rimuoveva le macerie, pensava a come sollevarsi, ma poi arrivava il buio e le ombre scendevano anche sui volti dei friulani.
Enrico Ponta, l’ex sindaco di Treppo Grande, comune che pur essendo disastrato non ha registrato vittime, descrive così la comunità distrutta nell’animo dal terremoto. Il 6 maggio di 40 anni fa, Ponta, eletto nelle file della Dc, era in auto con un altro amministratore, quando la scossa distrusse il Friuli.
Stava andando a Majano a una riunione politica convocata dalla Comunità collinare. Aveva 35 anni. Arrivati di fronte al campanile di Majano, stava facendo retromarcia per imboccare una via chiusa, la terra iniziò a tremare.
«Ricordo un grande vento - spiega -, uno spostamento ondulatorio, l’ho scambiato per un tornado». Le vie erano ostruite dalle macerie, tornarono a casa seguendo una strada di campagna.
«Incrociammo una donna in sottoveste bianca: «“Là c’era la mia casa ora non c’è più” ci disse». A Majano l’auto di Ponta passò davanti alla trattoria “Da Grando” - «vidi solo una persona con una candela» - poi lentamente arrivò a Treppo Grande.
La gente era radunata in strada, «parlavano del deragliamento di un treno, c’era un silenzio assordante», ricorda l’ex sindaco descrivendo la furia del terremoto che, comunque, non aveva fatto vittime. Il peggio arrivò all’alba quando con il sole fece capolino anche la distruzione.
Treppo Grande era un mare di macerie. «Io e don Claudio Como - continua - abbiamo fatto un giro di ricognizione nella nostra parrocchia». La distinzione è necessaria perché a Treppo Grande le parrocchie erano e restano due.
«A Treppo i morotei con don Como, a Vendoglio i colleghi di Forze nuove con don Faustino Croatto». Due anime della stessa famiglie rappresentate anche in consiglio comunale perché il vice del sindaco moroteo Ponta era Freschi di Forze nuove.
Distinzioni a parte, l’ex sindaco torna a quei giorni e agli incontri mattutini organizzata al Centro di coordinamento di Majano. Fu il consigliere regionale Giovanni Battista Metus, a invitarlo a frequentare quel luogo.
«Ogni giorno, alle 9, discutevamo su come organizzare i pasti, le tende e le cucine. In quell’occasione facemmo anche la giunta aperta con i rappresentati del Pci, Psi e Psdi. Invitammo pure i segretari di partito e i due parroci.
Don Como partecipò, mentre don Croatto mi disse: «Io guardo le anime, tu guarda gli uomini». E così fecero. Molti i problemi da affrontare. Villa Bellavitis sede della scuola materna era danneggiata, mentre la scuola elementare era stata trasformata in magazzino.
E nelle tendopoli la convivenza non era sempre facile. La nomina dei capo tendepoli non bastò a placare gli animi dei contestatori che lamentavano la mancanza di servizi igienici e docce. I bambini furono ospitati a Bibione e a Rimini. In questo contesto operava un giovane medico sardo giunto al seguito di un gruppo di volontari Caritas.
Ponta non ricorda più il suo nome, ma gli piace pensare a lui per l’affetto che dimostrava verso gli anziani. Nelle comunità strappate dai contesti di sempre, le persone di una certa età soffrivano in silenzio. Non a caso il sindaco e don Como pensarono di realizzare un centro anziani.
Lo fecero con i fondi messi a disposizione dalla Provincia di Milano, mentre la Caritas di Alessandria aveva organizzato gli aiuti per realizzare la chiesa prefabbricata a Vendoglio. Quando non erano cadute, le chiese erano inagibili.
A settembre, l’altare della chiesa di Treppo si salvò solo perché era stato “ingabbiato” dai tecnici della Provincia di Milano.
E se gli operai della Crivaia, la ditta slovena che forniva i prefabbricati, iniziavano a installare le casette, gli scaricatori di porto giunti da Genova demolivano tutto quello che trovavano. Compresa la canonica Seicentesca di Vendoglio.
Con il senno di poi, l’ex sindaco avrebbe impedito quella demolizione.
Nell’estate 1976 i volontari animavano le piazze deserte. Il 15 settembre Ponta era a Pavia di Milano quando il terremoto tornò a tremare.
«Alle 11 eravamo convocati in Provincia per valutare cosa fare in Friuli. Il Comune di Mantova governato dal Psi e la Provincia di Pavia governata dal Pci si erano impegnati a realizzare la scuola materna e il centro anziani. Entrambe avevano finanziato l’intervento, ma il Pci voleva lavorare con le cooperative rosse, il Psi con le imprese private. La scuola fu realizzata dalla Provincia e intitolata all’“Amicizia mantovana”».
Nei meandri del palazzo, il sindaco terremotato incontrò il giornalista Sandro Ruotolo. «Mi chiese se davamo le tende anche ai democristiani, gli risposi che in Friuli la politica restava fuori dalla porta perché i disastrati erano bianchi, rossi e verde».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto