Ercole Incalza, il sacerdote dei Lavori pubblici
FIRENZE. Il sacerdote delle “Grandi opere”, Ercole Incalza, superdirigente di sette governi diversi, burocrate sopravvissuto a cinque ministri e a 14 inchieste giudiziarie concluse a intermittenza con assoluzioni e prescrizioni, non è più intoccabile. Il dinosauro della Pubblica amministrazione capace di rimanere sempre al timone nonostante il vento, gli scandali, le vicissitudini di governo e i magistrati che negli ultimi decenni hanno provato a rincorrerlo, è in cella per corruzione.
Settant’anni compiuti il giorno di Ferragosto, due lauree - ingegneria e architettura - rappresenta la resistente longevità alle intemperie. Inossidabile. Porta Pia è stata casa sua per 14 anni. Nel 2005 il ministro Lupi lo definì addirittura «un patrimonio per il nostro Paese». Nel giorno più nero, invece, il governo si affretta a prendere le distanze dall’«ex» capo della struttura di missione delle Infrastrutture, il ricco ministero che ingloba trasporti e lavori pubblici: «È in pensione dal 31 dicembre 2014 e attualmente non riveste nessun ruolo o funzione, neanche a titolo gratuito». Eppure sono passati appena 75 giorni da quando ha svuotato i cassetti e ha riconsegnato le chiavi dell’Alta sorveglianza delle Grandi opere.
Il nome del supertecnico brindisino ricorre nei lavori più importanti su cui si è speculato negli ultimi 30 anni. Si affaccia nel mondo dorato degli incarichi pubblici verso la fine degli anni Settanta, grazie alle indiscutibili capacità ma anche alle entrature nella «sinistra ferroviaria» del socialista Claudio Signorile. Incarna il potere e l’incompiutezza della Tav in Italia. Dopo Tangentopoli torna alla ribalta con Pietro Lunardi per poi sedersi alla destra di Altero Matteoli. Va forte Incalza, anzi fortissimo. Più veloce della Giustizia che vorrebbe processarlo per presunte irregolarità sul sottopasso fiorentino.
Non è indagato ma il suo nome compare nell’ordinanza cautelare del Mose di Venezia. Sfiorato dalle indagini su Expo la sua carriera prosegue in un gioco ambiguo di chiaroscuri. La procura di Firenze acquisisce una copia del contratto di compravendita della casa in via Gianturco, di proprietà del genero Alberto Donati, che risulterebbe pagata per 520mila euro dal tuttofare dell’ambizioso costruttore Diego Anemone, quello del G8. Sembra una fotocopia del caso Scajola, ma Incalza non viene neppure interrogato dai pm. Donati tenta di spiegare: «Su suggerimento di Angelo Balducci tramite mio suocero contattai Zampolini». Il rogito venne stipulato dal notaio Gianluca Napoleone che alla Gdf ha detto di «non ricordare nulla». Di Balducci, l’ex Gentiluomo del Papa ed eminenza grigia dei grandi appalti di Stato, il notaio aveva però buona memoria: «È socio del mio stesso circolo di golf». Lo è stato. Prima di essere arrestato nel 2010. Un altro ex intoccabile bipartisan tirato giù dalla torre d’avorio.
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