Estorsione a imprenditori: «Raggirati da un amico»
SACILE. Altro che “coperti” da potenti famiglie mafiose siciliane, i tre calabresi arrestati il 22 febbraio con i soldi in mano, 37 mila euro in assegni circolari appena consegnati da un imprenditore di Pordenone, secondo gli inquirenti più che altro le amicizie con la malavita organizzata le millantavano.
Questo, però, è sufficiente a contestare l’aggravante del metodo mafioso da parte del pm della Direzione distrettuale antimafia di Trieste, aggravante non riconosciuta dal gip della Dda.
A Salvatore Bitonti, 36 anni, Alfonso Parise, 49 anni, e Saverio Iemmello, 44 anni, tutti calabresi domiciliati in provincia di Treviso, la procura di Pordenone contesta l’ipotesi di reato di estorsione tentata e consumata; nei loro confronti è stata depositata al gip la richiesta di custodia cautelare, misura sostitutiva di quella emessa a tempo dal gip di Trieste.
Perché, quindi, i due imprenditori pordenonesi – tra i quali un noto assicuratore che si era visto incendiata la casa la notte tra il 28 e 29 dicembre dello scorso anno – erano finiti nel mirino dei tre calabresi? Erano “rei” di avere presentato a un loro amico un soggetto autore di una maxitruffa da 500 mila euro, sulla cui effettiva veridicità sono in corso accertamenti. Il “grande truffatore” sarebbe un macedone, sulla cui esistenza gli inquirenti nutrono dubbi. Sparito nel nulla. «Agiamo per conto di un amico»: così si sarebbero presentati i tre. Le vittime, insomma, avrebbero messo in contatto il truffato con il truffatore.
In una prima fase l’estorsione era finalizzata a ottenere 300 mila euro, cifra fuori dalla portata delle vittime. Si erano quindi “accontentati” di 37 mila euro, assegni che appena passati di mano li hanno visti finire nelle carceri di Pordenone, Trieste e Udine.
Due mesi di indagini – appostamenti e intercettazioni – partite dalla prima maxi richiesta di denaro e poi sfociate nella contestazione, caduta, del metodo mafioso utilizzato per estorcere denaro.
Gli inquirenti stanno accertando, inoltre, se l’incendio di una villetta a Pordenone, pochi giorni prima di Capodanno, fosse stato realmente un avvertimento oppure se i tre, essendone venuti a conoscenza, l’avessero impropriamente utilizzato come un episodio riconducibile alla loro richiesta di denaro. Fatto sta che alla vittima avevano detto: «Vedi cosa ti è successo?», facendo presente di conoscere dove vivevano i suoi familiari.
Per il gup di Trieste i tre non sono “veri mafiosi”. E lo conferma il procuratore di Pordenone, Marco Martani: «A Pordenone la mafia non c’è».
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