Europee, premiato il governo. Ma solo quello del “capitano”

Nel derby dei populismi nostrani ha vinto il governo. Un governo dominato da Salvini. Se si prendono per buoni i primi exit poll, il bipolarismo litigioso gialloverde mantiene un radicamento altissimo nell’elettorato. La Lega di Salvini incassa un risultato storico; ha ampiamente superato il Movimento 5 Stelle. Di Maio è in forte calo, con il secondo posto addirittura perso a vantaggio del Pd.

Ma dopo un anno di cura degli estremismi convergenti, i due partiti del contratto del “governo del cambiamento” sfiorano ancora la metà dei voti espressi dagli italiani.

Un anno fa la somma di Cinquestelle e Lega dava esattamente il 50,1 per cento. Ora, a scrutinio in corso, si tiene sotto il 50 ma comunque a livelli altissimi. A parti invertite, certo, con un ridimensionamento del verbo grillino. Salvini detta l’agenda dei temi politici; se Conte, uscito azzoppato dal voto, vuol restare a Palazzo Chigi deve prenderne atto.

Di Maio è l’anello debole del populismo di governo. Il radicamento sociale del movimento si rivela fragile, volatile, penalizzato da una struttura organizzativa dispotica nella gestione dei gruppi parlamentari a Roma ma confusionaria nella presenza locale e nella proposta politica in città grandi e medie.

La Lega mette a profitto gli anni di sperimentata amministrazione e di consolidato sistema di potere nelle due regioni più ricche – Lombardia e Veneto – su cui Salvini ha avuto l’intuizione di costruire un partito a sua immagine capace di sfondare nell’Italia centrale e addirittura nel Sud, dove gran parte dell’apparato del vecchio Movimento sociale poi An si è riciclato nel “nuovismo” leghista.

Forza Italia si attesta sulla soglia di sopravvivenza del 10 per cento e il partito della Meloni supera con facilità la soglia di sbarramento del 4. In totale il centrodestra vecchia maniera sfonda quota 40.

Hanno litigato su tutto, sempre sul limite della crisi, ma i due vicepremier sono condannati a convivere ancora perché lo spirito del tempo è sempre più segnato dal risentimento verso le classi dirigenti del passato.

Dall’estremismo parolaio e visionario dei cinquestelle, dopo poco più di 14 mesi, una percentuale considerevole di elettorato si è spostata verso l’estremismo nazionalista, più cattivo e quindi paradossalmente più apprezzabile, di Salvini. Sì, perché l’estrema destra nella sua varie declinazioni nazionali – la Le Pen in Francia, Farage in Inghilterra – si sta candidando a dare voce alle fasce del proletariato emarginato e dei ceti medi impoveriti dell’Occidente.

In Italia il Pd riaggancia il M5S e sembra averlo superato. Il partito di Zingaretti fa meglio di un anno fa, ma soffre ancora di crisi di identità. Il dato degli exit poll ne certifica l’esistenza in vita, ma la diagnosi per uscire dalla lunga malattia è ancora incerta. Non è sufficiente puntare sugli errori altrui per costruire un progetto politico credibile agli occhi di milioni di scontenti. —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto