Evirò l’amico a Udine: era arrabbiata per un ritardo

Secondo la perizia psichiatrica, quel giorno la ragazza aveva una capacità d’intendere scemata ma non esclusa

«Pensavo che non ci sarei riuscita, è difficile ed è brutto, ma l’ho fatto...». Carolina De Brito Peres, la ragazza di 30 anni di origini brasiliane che lo scorso 1° febbraio ha evirato con un coltello da cucina un amico militare di 25 anni, durante un gioco erotico nell’appartamento in cui la giovane abita, in via Maniago, lo ha confessato allo psichiatra Gaetano Savarese, durante gli incontri tenuti nelle ultime settimane nel carcere del Coroneo, dov’è rinchiusa da quel giorno con l’accusa di lesioni personali aggravate.

L’esito della perizia psichiatrica, conferita dal gip del tribunale di Udine, Daniele Faleschini Barnaba, su richiesta del pm Claudia Danelon e svolta nella forma dell’incidente probatorio, è stata illustrata ieri alle parti. Al perito, in servizio al Csm di Udine sud, era stato chiesto di valutare se la De Brito, al momento del fatto, fosse capace d’intende e di volere, se debba essere considerata socialmente pericolosa e se sia capace di partecipare coscientemente al procedimento penale in corso. All’udienza era presente la stessa indagata, affiancata dal suo difensore, avvocato Emanuele Iuri.

Giunta in Italia all’età di 16 anni, per raggiungere la madre e gli altri fratelli, con i quali risulta residente a Tavagnacco, Carolina ha presentato presto problematiche di tipo psichiatrico. Inquadrato come disturbo schizoaffettivo di tipo bipolare, a partire dal 2009 e fino al 2014 il suo malessere ha reso necessari diversi ricoveri e la somministrazione di terapie farmacologiche. Secondo il perito, però, nel periodo in cui frequentava il militare, la ragazza non viveva una fase acuta di dissociazione ideo-affettiva.

A scatenare la sua rabbia, il giorno dell’evirazione, era stato il ritardo con cui l’amico si era presentato da lei. Per colpa sua, poi non era riuscita ad andare al cinema con i suoi nipotini e questo l’aveva addolorata e frustrata. Carolina aveva interpretato quel ritardo come una mancanza di rispetto nei suoi confronti e come la prova della scarsa considerazione che il ragazzo aveva di lei. Nella sua testa, a quel punto - sempre a parere del perito – sarebbe scattato un bisogno di rivalsa e di vendetta. Prima di agire, però, aveva telefonato ai carabinieri e annunciato le proprie intenzioni: a riprova del fatto che, per quanto il gesto-reato fosse nato in una dimensione psicopatologica, l’indagata possedesse comunque «residue risorse e capacità di analizzare e contestualizzare gli eventi».

Da qui, la prima conclusione: nel momento in cui tagliò il pene all’amico, «era per infermità in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere». Considerato l’atteggiamento tenuto nel corso degli incontri con lo spichiatra e, anche, il pentimento manifestato per quanto commesso e il desiderio di poter chiedere perdono al ragazzo, si è ritenuto di dichiararla capace di partecipare al procedimento. Quanto al pericolo di reiterazione del reato, il perito ha considerato la sua pericolosità sociale «attenuata», purchè venga riformulato «un progetto terapeutico articolato con una misura di sicurezza». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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