L’ex sindaco Cecotti sul caso De Toni: «L’accordo, l’esposto e una lettura distorta della realtà politica»

L’intervento dell’ex primo cittadino sull’inchiesta per corruzione elettorale: «Prevedere che i consiglieri eletti nelle liste non collegate al Sindaco debbano per forza fare opposizione sarebbe una violazione dell’articolo 67 della Costituzione»

Sergio Cecotti
L'ex sindaco di Udine Sergio Cecotti
L'ex sindaco di Udine Sergio Cecotti

Fin nella lontana Cina è giunta l’eco di una bizzarra polemica sulle scorse Comunali di Udine con seguito di esposti e amenità varie. Forse è il caso di puntualizzare alcuni dati oggettivi con il sereno distacco della lontananza geografica. Per onestà, devo premettere che la mia conoscenza delle norme applicabili è limitata; per esempio, non conosco i decreti segreti di Stalin del 1936 dove alcuni degli istituti giuridici evocati dai presentatori dell’esposto potrebbero, forse, essere previsti. Ma ho verificato che essi sono effettivamente inseriti nella Costituzione del Bangladesh, quindi non posso asserire che essi siano del tutto campati per aria.

Secondo gli estensori dell’esposto, esisterebbe un divieto legale degli accordi di coalizione (chi lo ha detto? Stalin nel ’36?) e, più specificamente, una proibizione per i Consiglieri comunali, eletti in liste non collegate al candidato Sindaco vincente, di stipulare con lo stesso un accordo di coalizione (con le ovvie conseguenze sulla composizione della Giunta). Non solo, gli estensori sostengono che il 40% dei seggi del Consiglio comunale spetterebbero per legge alla “opposizione”.

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Tali affermazioni sono frutto di una “lettura” parecchio distorta della realtà. Scrivo “lettura” tra virgolette, perché il verbo “leggere” si riferisce alle parole scritte, mentre quelle riportate dagli estensori dell’esposto sono forse state udite in qualche bar, ma ovviamente non possono essere scritte in nessun testo giuridico della Repubblica.

La legge non può dire che il 40% dei seggi spetta all’“opposizione” per il semplice motivo che, se lo dicesse, violerebbe uno dei più sacri principi dell’Ordinamento della Repubblica, quello per cui l’eletto in una assemblea rappresentativa esercita la sua funzione senza vincolo di mandato. Prevedere che i Consiglieri eletti nelle liste non collegate al Sindaco debbano per forza fare opposizione, ovvero proibire loro d’imperio di stringere accordi di coalizione con il Sindaco, costituirebbe una palese violazione dell’articolo 67 della Costituzione che vieta il mandato imperativo.

Qualcuno dirà - «L’articolo 67 si applica solo ai parlamentari». Asineria! Si applica pacificamente a tutte le assemble rappresentative, come chiarisce l’autorevole parere del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali; parere che ognuno può scaricare dal sito internet del Ministero degli Interni.

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«Ma quella è solo l’opinione dei burocrati romani!» - dirà qualcuno - «Non esiste una norma specifica che vieti il vincolo di mandato per i Consiglieri comunali!» Nessuna norma? Uno degli atti più solenni del Sindaco on. Fontanini fu l’approvazione dello Statuto comunale nel testo oggi vigente a Udine. Articolo 32, comma 1: «I consiglieri comunali rappresentano la comunità cittadina senza vincolo di mandato.» Fontanini avrebbe potuto aggiungere: «Eccetto quelli eletti in liste non collegate al candidato Sindaco vincente, che debbono per forza rimanere all’opposizione, e in nessun caso (Dio non voglia!) stringere accordi di coalizione col Sindaco».

Ma Fontanini non lo scrisse: sapeva anche lui che era una castroneria. Sapeva, allora, che a Udine si applica la Costituzione della Repubblica italiana, non quella del Bangladesh, e che ciascun Consigliere, comunque eletto, ha il diritto di aderire alla maggioranza del Sindaco. Un diritto costituzionalmente garantito e protetto, ci assicura il Ministero degli Interni.

Qualche arrampicatore sugli specchi a questo punto dirà - «Ma qui il caso è diverso: l’accordo è stato fatto prima del ballottaggio, non a Consiglio comunale costituito». Embé? Forse che impegnarsi a fare in futuro qualcosa di assolutamente legittimo (come un accordo di coalizione in caso di vittoria) non è esso stesso ontologicamente del tutto legittimo?

Bisogna fare chiarezza sul rapporto tra leggi elettorali e funzionamento degli organi elettivi, rapporto che va letto alla luce della Costituzione italiana (per chi non viva in Bangladesh, è ovvio).

Un esempio chiarirà il punto meglio di mille parole. La legge elettorale vigente nel 2018 per il Parlamento, il Rosatellum, all’articolo 14-bis prevedeva (e tuttora prevede) che partiti diversi “possono dichiarare il collegamento in una coalizione”, con l’obbligo di presentare un candidato comune in tutti i collegi uninominali. Le coalizioni vengono esplicitamente riportate sulla scheda elettorale, ed è su di esse che si chiede il voto dei cittadini. Alle politiche del 2018 la Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia formarono una coalizione, col risultato di ottenere molti più parlamentari di quanti ne avrebbero avuti andando separati.

Dopo le elezioni, la Lega – i cui parlamentari erano stati in parte eletti grazie alla coalizione – disse “ciaone” ai partiti collegati, e strinse un accordo di coalizione col Movimento 5 Stelle. «Ma questo è un reato!» – avranno sbottato sdegnati i Consiglieri udinesi di “opposizione” - «Salvini va arrestato in fragranza di reato, lui e anche il Presidente della Repubblica, che è venuto meno al suo ruolo di garanzia, conferendo l’incarico di formare il Governo a una coalizione difforme da quelle presenti sulla scheda elettorale».

Ora, ciascuno è libero di pensare quello che vuole delle scelte politiche dell’on. Salvini, ma io rivendico che l’onorevole fosse perfettamente legittimato a compierle dall’articolo 67, e questo a prescindere da ogni possibile previsione e/o interpretazione della (sciagurata) legge elettorale.

Non contento, Salvini poi partecipò al Governo Draghi, relegando all’opposizione uno dei partiti a lui collegati in coalizione, Fratelli d’Italia.

Immagino che a questo punto gli estensori dell’esposto si siano stracciate le vesti – «Questo Salvini è un criminale recidivo! Rinchiuderlo in gattabuia e gettare via la chiave!» Ma, ancora una volta, l’on. Salvini era nel suo buon diritto.

Gli estensori dell’esposto sono legittimati a pensare che le scelte politiche dell’on. Salvini - difformi da quanto da lui dichiarato sulla scheda elettorale - siano obbrobriose e meritino una severa sanzione. Ma la sanzione è nelle mani degli elettori, non del giudice penale. «Hai fatto scelte ignominiose, e noi non ti votiamo più» - questa è la sanzione. Nel caso di Salvini la sanzione è puntualmente arrivata: la Lega è passata dal 34% al 8%, mentre la parte “offesa” dal suo non-reato, Fratelli d’Italia, è balzata al 26%.

È possibile che anche il Sindaco De Toni venga similmente sanzionato: vedremo alle prossime elezioni. Voglio immaginare che gli estensori dell’esposto - animati di cotanto giusto furore contro quelli che fanno accordi politici difformi dai loro collegamenti elettorali - per coerenza si siano fatti parti diligenti nel convincere gli elettori di Salvini a non votarlo mai più, onde punirlo dei suoi molti “tradimenti” di quanto dichiarato sulla scheda elettorale. 

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