Falsi prosciutti di San Daniele, 9 indagati

Secondo la Procura la ditta friulana “Marini salumi” avrebbe venduto prodotti non locali e di scarsa qualità spacciandoli per Dop
Di Luana De Francisco

SAN DANIELE. Il marchio “San Daniele Dop” c’era, ma era falso. E chi si illudeva di assaporare un crudo originale, in realtà acquistava e mangiava un “tarocco”: prosciutto nazionale o estero, infarcito di nitrati. E cioè di conservanti vietati nella lavorazione dell’assai più pregiato e delicato San Daniele. Chi lo vendeva, intanto, ci guadagnava due volte: con quello vero, che veniva imboscato e immesso sul mercato “nero”, e anche con quello più scadente, che veniva sostituito all’originale e spacciato per tale nei supermercati e nelle gastronomie. Ad alzare il velo sull’ennesimo scandalo nell’alimentare è la Procura di Udine, con un’inchiesta partita nel 2012 e culminata ieri con la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai nove indagati ritenuti, a vario titolo, gli autori e attori della truffa.

Il meccanismo

In cima all’elenco, spiccano i nomi dei titolari della “Marini salumi srl” di via Monte Festa, a San Daniele del Friuli: Sisto, 55 anni, Antonella, 49, e Leonardo Marini, 81, nei rispettivi ruoli di presidente, vicepresidente e amministratore di fatto della ditta, specializzata nella lavorazione e commercializzazione di prosciutto crudo. È lì che gli ignari produttori di San Daniele inviavano le rispettive cosce di prosciutto, affinchè fossero trasformate in mattonelle o disossate, ed è da lì che ripartivano, per essere consegnate a un’altra ditta addetta al loro affettamento. Ebbene, ciò che la Procura sostiene è che, una volta incamerati, i prosciutti venissero sostituiti con altrettanti pezzi di provenienza nazionale o straniera. A quel punto, gli originali avrebbero imboccato strade sotterranee, scomparendo dai circuiti legali, mentre i loro “cloni” sarebbero stati marchiati con timbri a fuoco falsi e restituiti ai produttori nelle consuete confezioni per la vendita al dettaglio. Ormai irriconoscibili, quindi. Da qui, la sfilza di accuse: concorso in ricettazione, in contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi, in frode nell’esercizio del commercio aggravata (trattandosi di prodotti alimentari), in truffa (tentata e consumata) e in appropriazione indebita. Indagata anche la ditta per la responsabilità amministrativa degli enti.

Un “vuoto” nei controlli

A corroborare la tesi accusatoria sarebbero stati sia le perquisizioni condotte nella primavera del 2012 alla “Marini salumi” e che portarono alla luce quattro falsi timbri (tre con il marchio del “Prosciutto di San Daniele Dop” e uno con quello del “Prosciutto di Parma Dop”), sia dalla montagna di intercettazioni ambientali seguite al sequestro. Il passo successivo degli investigatori, coordinati dai pm Viviana Del Tedesco e Andrea Gondolo, è stato capire come fossero riusciti a dribblare i controlli. I procedimenti di trasformazione dei prosciutti, infatti, sono soggetti ai controlli, continui e costanti, degli ispettori dell’Istituto Nord Est Qualità, creato proprio per sovrintendere alla certificazione di conformità del prosciutto di San Daniele. La risposta è scritta nelle pieghe dell’inchiesta: Elena Presello, 44 anni, di Ragogna, e Cludio Querini, 51, di San Daniele, entrambi dipendenti dell’Ineq, non avrebbero atteso ai propri compiti, limitandosi ad attestare che tutto era a posto. Non avrebbero vigilato a dovere, insomma, sull’effettiva corrispondenza tra il prodotto originale e quello trasformato. Anche nei loro confronti si ipotizza la frode nell’esercizio del commercio.

La “connection” con Parma

Ma che fine facevano i veri San Daniele? Le indagini condotte dal Dipartimento dell’ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agro-alimentari (Icqrf), dalla Guardia di finanza di Udine e dai carabinieri del Nac di Parma non hanno precisato un unico destinatario. Buona parte sono stati riconosciuti nei banchi frigo di supermercati campani. Per un’altra parte, rappresentata però soprattutto da prosciutti contraffatti, il capo opposto della “filiera” truffaldina è stato individuato in provincia di Parma. Grazie alla mediazione di Riccardo Anselmi, 71 anni, di Viadana (Mantova), la “Marini salumi” avrebbe inviato numerosi pezzi alla ditta “Varsi sapori srl”, gestita da Emanuele Coppellotti, 43 anni, di Varano De Melegari, e di cui Monica Fiori, 44, pure di Varano, era la procuratrice speciale. Tutti complici nella commercializzazione.

Le promesse del veterinario

I fatti in contestazione coprono un periodo compreso tra il 2011 e il 18 aprile 2013 e riguardano un numero imprecisato di prosciutti: oltre duemila quelle accertate dagli investigatori, ma molte di più quelle probabilmente sfuggite ai controlli. Era stata la scoperta di nitrati nel crudo venduto in vaschette in un negozio friulano, durante una serie di controlli a campione, a mettere in moto la Procura. Mario Paiani, 58 anni, di Ragogna, dirigente veterinario dell’Aas n.4 “Medio Friuli”, era comparso sulla scena a inchiesta avviata. A incastrarlo sarebbero state le intercettazioni ambientali seguite alla perquisizione nella ditta di San Daniele. Informato delle indagini, ma ignaro di essere “ascoltato”, avrebbe promesso ai Marini di aiutarli a eludere le investigazioni, «intortando quell’altra», ossia il magistrato che stava coordinando le indagini. Parlando dei timbri falsi, ecco cosa aveva suggerito agli imprenditori: «Dichiari che te li hanno messi... Loro dimostrino il contrario». Per lui, le accuse sono di favoreggiamento personale e omissione d’atti d’ufficio.

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