Fasci littori sul muro: «Non è apologia di fascismo»

GEMONA. Un paio di fasci littori posti a decorazione del muro di un edificio non bastano a configurare il reato di apologia del fascismo. Possono essere interpretati come una manifestazione di nostalgia o sopravvivere come residuato storico, ma non rappresentano certo un pericolo concreto per la democrazia.
Ecco perché, scegliendo di lasciarli esposti sulla facciata dell’abitazione in cui abita, a Gemona del Friuli, Paolo Garlant non si è reso in alcun modo colpevole di violazione della legge Scelba.
Il caso si è concluso ieri, davanti al giudice monocratico del tribunale di Udine, Carla Missera, con l’assoluzione dell’imputato con formula piena «perché il fatto non sussiste».
Lo stesso pm onorario, Alberto Cino, al termine dell’istruttoria dibattimentale, aveva escluso responsabilità in capo a Garlant, che ha quarant’anni, è originario di Nimis e di quell’immobile non è neppure il proprietario. Analoghe, va da sé, le conclusioni della difesa, rappresentata dall’avvocato Vincenzo De Gaetano, del foro di Bologna.
La vicenda traeva spunto dalla denuncia presentata al sostituto procuratore di Udine, Elena Torresin, dai carabinieri della stazione di Gemona, a seguito di accertamento effettuato il 12 dicembre 2017.
Corredata da una quindicina di fotografie, l’annotazione contestava a Garlant l’esposizione sulle pareti esterne dell’abitazione, prospiciente la pubblica via, due manufatti in pietra raffiguranti il fascio littorio e la scritta “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”, a sua volta riconducibile alla dittatura fascista. Da qui, l’ipotesi di avere in questo modo esaltato i principi del Ventennio.
Ipotesi che il difensore ha cercato di smontare, partendo dalla pronuncia con cui la Corte costituzionale, già nel 1957, aveva ridotto il perimetro di applicazione dell’articolo 4 della legge 645 del 1952. «Perché vi sia apologia del fascismo – ha ricordato l’avvocato De Gaetano – è necessario fare qualcosa che permetta al partito fascista di essere ricostituito».
E la semplice presenza di qualche fascio littorio non pare rientrare nel novero dei pericoli concreti. Tanto più, di fronte al veto opposto dalla Soprintendenza per i beni architettonici. «Quando il mio assistito manifestò l’intenzione di rimuovere i manufatti dal muro, gli fu detto che non era possibile, trattandosi di bene sottoposto a vincolo».
Per Garlant, comunque, i guai non sono ancora finiti. Collezionista appassionato di pezzi militari, nel 2018 la Procura di Padova lo ha chiamato a rispondere di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, per il rinvenimento di un tubo metallico contenente volantini di propaganda risalente alla Prima guerra mondiale. —
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