Fidanzati uccisi a Pordenone, Giosuè e la teoria della “goccia cinese”

La Procura scava nella psiche dell’indagato: sudditanza nei confronti di Rosaria, ostilità verso Trifone

PORDENONE. Come una piccola goccia d’acqua che singolarmente ha un impatto nullo ma la cui caduta ripetuta e inesorabile, nel tempo, ha effetti devastanti sulla psiche.

La “goccia cinese”, metodo di tortura avvolto da un alone di leggenda e un concetto utilizzabile, per similitudine, a corredo di un’analisi psicologica.

Un paragone che sembra calzante per inquadrare la caccia al movente in cui è impegnata la Procura di Pordenone nell’indagine sull’omicidio di Trifone Ragone e Teresa Costanza.

Una caccia che prende la forma anche e soprattutto di uno scandaglio delle contorte dinamiche psicologiche del rapporto di coppia tra Giosuè Ruotolo e Rosaria Patrone: il 26enne di Somma Vesuviana ex coinquilino e commilitone di Trifone indagato per il duplice delitto, e la fidanzata 24enne, studentessa di giurisprudenza e concittadina di Ruotolo, indagata per istigazione al duplice omicidio e, in alternativa, favoreggiamento.

Secondo gli inquirenti, Rosaria risulta una giovane di indubbia intelligenza e l’ipotesi di istigazione sottintende che sia ritenuta in grado di esercitare una forza di manipolazione psicologica notevolissima.

Si è parlato di una “sudditanza psicologica”, che avrebbe spinto Giosuè ad agire, come una sorta di atto dimostrativo. C’è chi è arrivato a intravedere una sorta di “pegno d’amore” in quel gesto terribile.

La madre di Trifone: «Basta infangarlo»

Un’ipotesi su cui è stata interpellata nell’ultima puntata della trasmissione Mattino Cinque anche la madre di Trifone, Eleonora, che ha preferito non commentare.

Al di là delle «scaramucce» che costellano il rapporto tra due giovani poco più che ventenni (così le aveva definite il legale di Rosaria, Costantino Catapano) nelle dinamiche di coppia può cementarsi un legame che spinge a vedere la realtà al di fuori della coppia stessa, “il mondo esterno”, in una prospettiva diversa, a volte deformata. E così la percezione di ciò che è bene e ciò che è male può alterarsi.

In questo contesto possono essersi accumulate giorno dopo giorno, goccia dopo goccia malessere, ossessione, ostilità, poi esplose – secondo la tesi accusatoria – nella violenza. Proprio “ostilità” è la parola chiave utilizzata anche dal Procuratore Martani in riferimento al profilo Facebook anonimo e ai messaggi sgradevoli inviati a Teresa nel maggio 2014 in cui si sparlava di Trifone.

«Se il profilo fosse stato creato e utilizzato da Giosuè – ha osservato Martani –, saremmo di fronte a una grandissima manifestazione di ostilità».

Quando e perché le prime gocce di quell’astio hanno cominciato ad accumularsi? Durante il periodo in cui Giosuè e Trifone condividevano l’alloggio, quando Giosuè aveva frequenti crisi di pianto, e in caserma?

Eleonora la scorsa settimana ha tenuto a dire la sua sull’argomento: «La difesa parla di Trifone e Ruotolo come di due amici e commilitoni, cosa che non sembrerebbe confermata da quanto sta emergendo dalle indagini».

Quel presunto odio trovava poi terreno fertile nell’ambito dell’interazione Giosué-Rosaria? Giosuè aveva appuntato in un foglietto frasi che esprimevano il suo stato d’animo, il suo disagio per il difficile rapporto a distanza con Rosaria, per le gelosie di lei. Lo ha poi spontaneamente consegnato alla Procura.

«Appunti d’amore su turbamenti che denotano la particolare gelosia della ragazza – avevano spiegato gli avvocati di Ruotolo, Rigoni Stern e Denti –. Lei viveva male la lontananza di Giosuè, era in uno stato di depressione e lui cercava di assecondarla e rassicurarla. Era fragile e questa depressione l’aveva portata ad inventare delle storie improbabili per timore di perderlo».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto