Fidanzati uccisi, confermato in appello l'ergastolo per Ruotolo. La mamma di Giosuè: «Questa non è giustizia»

Questa le decisione dei giudici per l'ex militare di Somma Vesuviana, di 29 anni, condannato in primo grado per l'uccisione della coppia di fidanzati, Trifone Ragone e Teresa Costanza. I genitori della giovane uccisa: "Combatteremo anche in caso di appello. Ora resti in carcere senza sconti di pena"

TRIESTE. Dopo quasi otto ore di camera di consiglio, la Corte d'Appello di Trieste ha dichiarato Giosuè Ruotolo colpevole dell’omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone.

Il 28enne di Somma Vesuviana è stato condannato all’ergastolo con due anni di isolamento diurno. Confermata, quindi, la sentenza espressa l'8 novembre 2017 dalla Corte d'assise di Udine.

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Subito dopo la lettura del verdetto la madre dell'imputato ha urlato più volte lasciando l'aula e poi anche nel corridoio del Tribunale, «Questa non è giustizia, questa non è giustizia». Giosué Ruotolo, invece, ha seguito la lettura della condanna facendo cenno di no con la testa, mantenendo uno sguardo basso. La sentenza è stata emessa dopo circa otto ore di Camera di Consiglio. La giuria, presieduta da Igor Maria Rifiorati, si era ritirata intorno alle 12:30 dopo aver ascoltato le repliche della difesa, affidate a uno dei legali di Ruotolo, Giuseppe Esposito, e le dichiarazioni spontanee dell'imputato, che ha preso la parola per la prima volta nel processo d'appello.

Fidanzati uccisi a Pordenone, Giosuè Ruotolo condannato all'ergastolo. La mamma: "Non c'è giustizia"


La mamma di Teresa: "Ora resti in carcere senza sconti di pena". Al momento della lettura della sentenza, dopo una Camera di consiglio di quasi 8 ore, l'imputato, occhi bassi, ha mosso il capo in segno di dissenso. Commossi i genitori di Teresa: «Siamo contenti perché l'assassino va dietro le sbarre ma non abbiamo più Teresa e questa è la cosa più brutta che c'è», ha detto il padre della vittima, Rosario Costanza. «Credo si appelleranno e siamo pronti a combattere anche là». «I ragazzi hanno avuto giustizia. rimanga in carcere senza sconti di pena», ha concluso la mamma di Teresa.

«Adesso starà alla Cassazione valutare tutti i vizi che emergeranno da questa sentenza», ha detto uno dei legali di Ruotolo, Roberto Rigoni Stern. «Noi ci avevamo creduto, convinti che fossero molto importanti gli argomenti che abbiamo portato. Eravamo convinti anche che la Corte conducesse una disamina più approfondita degli elementi della difesa. Nessuna prova scientifica, nessuna certezza sulla presenza sulla scena del delitto dell'imputato, l'assenza di un movente: elementi fondamentali», ha concluso.

Ad inizio udienza ha preso la parola lo stesso Ruotolo che ha ribadito la sua innocenza. «Tra me e Trifone - ha spiegato - c’era un rapporto cordiale. Sono stato condannato all’ergastolo, ma di mio in questo processo non c’è nulla. Non ho mai litigato nè verbalmente nè fisicamente con Trifone e in questo senso sono le testimonianze dei commilitoni».

«I dati scientifici mi scagionano - ha ribadito - e chiedo che venga accertata la verità e fatta giustizia a Teresa e Trifone». Ragone e Costanza erano stati uccisi a colpi di pistola la sera del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone.

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L'iter giudiziario. L'udienza, la sesta di un processo cominciato il 12 ottobre scorso, è durata circa tre ore e si è conclusa in questo modo. Giosué Ruotolo, ex militare campano, di 29 anni, è originario di Somma Vesuviana. Trifone Ragone, militare, originario di Adelfia (Bari), 28 anni, e Teresa Costanza, 30 anni, assicuratrice milanese di origini siciliane, furono uccisi nel parcheggio del Palazzetto dello Sport di Pordenone.

In primo grado il pm Pier Umberto Vallerin aveva sottolineato che Ruotolo, unico imputato, aveva «commesso gli omicidi per salvare la sua carriera» e che «l'odio verso Trifone e la gelosia verso Teresa lo avevano assalito già da tempo. Togliendoli di mezzo sparivano due rivali, due minacce viventi, due persone verso cui covava odio già da tempo».

Accusa e difesa. La Corte d'assise di Udine aveva accolto la richiesta del pm condannando Ruotolo all'ergastolo e a due anni di isolamento diurno con una sentenza pronunciata l'8 novembre 2017. Questo secondo processo era cominciato con la richiesta della difesa della rinnovazione dell'istruttoria, per superare «le contraddizioni» del primo grado, chiedendo «una perizia tecnica» che verificasse la presenza di Ruotolo sul luogo del delitto. Richiesta però rigettata dalla Corte.

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La difesa «è stata fondata», tra l'altro, «sull'inesistenza della lite che sarebbe stata all'origine dell'omicidio» e «sull'assenza di prove biologiche» riferibili all'imputato, ha spiegato Esposito. Mentre le parti civili hanno insistito sulle «falsità» dichiarate dall'imputato. In appello l'accusa ha chiesto la conferma della condanna di primo grado, mentre la difesa ha chiesto l'assoluzione del proprio assistito per non aver commesso il fatto e, prima della chiusura dell'udienza di stamani, ha depositato una memoria di riepilogo.
 

  1. TERESA COSTANZA Trentenne, laureata in economia aziendale alla Bocconi, ha lasciato la promettente carriera di assicuratrice per amore di Trifone e si è trasferita da Milano a Pordenone.
  2. TRIFONE RAGONE 28 anni, originario di Adelfia, caporalmaggiore di stanza al 132º Reggimento dei carristi di Cordenons, appassionato di crossfit, sognava di sposare Teresa e entrare nella Guardia di finanza
  3. GIOSUE’ RUOTOLO 28 anni, originario di Somma Vesuviana, ex commilitone e coinquilino di Trifone, condivideva con lui la passione per la palestra e le serate in discoteca prima che l’amico conoscesse Teresa ma anche il sogno della Finanza

Teresa si era trasferita a Pordenone, in un appartamentino in via Chioggia, dopo una breve convivenza con gli altri tre commilitoni Giosuè Ruotolo, Sergio Romano e Daniele Renna in via Colombo. I fidanzati progettavano di sposarsi, di mettere su famiglia. Trifone, 28 anni, originario di Adelfia, caporalmaggiore dell’esercito, era di stanza al 132º reggimento carri di Cordenons, ma il suo sogno era di far parte della Guardia di finanza e aveva già superato con successo le prime selezioni.

«Trifone era il pilastro della nostra famiglia», hanno raccontato ai giudici i genitori Eleonora Ferrante, che lavora in banca e Francesco Ragone, impiegato in tribunale a Bari, ma anche i suoi fratelli Giuseppe e Gianni. Tutti loro hanno dovuto trovare la forza di sopravvivere al dolore. Avrebbero voluto festeggiare un matrimonio e invece hanno dovuto celebrare il funerale dei loro ragazzi.

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C’era anche Giosuè Ruotolo al picchetto d’onore per Trifone ad Adelfia, fra i commilitoni che hanno portato a spalla la sua bara. «Mentre stavamo uscendo dalla chiesa – il racconto in aula del militare Pasquale Pone, 26 anni – con la bara di Trifone sulle spalle, ho sentito dietro di me Giosuè che mormorava: “Non ce la faccio, non ce la faccio”. Io gli ho detto: “Fatti forza”, perché mancava ancora un lungo tratto». Erano amici, Giosuè e Trifone. Tanto che è stato proprio quest’ultimo a coinvolgerlo nella convivenza fuori dalla caserma con Daniele Renna e Sergio Romano. Sognavano entrambi la Finanza, mentre si allenavano in palestra e andavano insieme in discoteca la sera.

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Poi in via Colombo, secondo la Procura, l’armonia è andata in frantumi, per screzi di piccolo conto. Il giorno in cui Trifone è andato a vivere con Teresa, il 26 giugno 2014, sono iniziati i messaggi anonimi su Facebook, per dividere i due fidanzati. «Li abbiamo pensati insieme, io, Renna e Romano», affermerà Giosuè al processo. Ma la cosa, secondo lui, non ha avuto poi seguito. «Ho affrontato tanti sacrifici lontano dalla mia famiglia, e avrei buttato tutto all’aria per dei messaggi?», ha domandato Giosuè ai giudici. Il pm Vallerin lo ha definito «capace di atti diabolici e menzogne epocali». Per sua mamma Vincenza, insegnante, e papà Alfonso, ex operaio in pensione, Giosuè è invece incapace di fare del male a una mosca. Chi è davvero? I giudici dovranno deciderlo sulla base degli atti del processo e rispondere a una seconda domanda tutt’altro che semplice, al di là di ogni ragionevole dubbio.

La telecamera guasta che portò all'imputato

Un agguato durato una manciata di secondi nel piazzale del palasport Crisafulli di via Interna, teso in un via vai di auto e frequentatori di tre differenti palestre. Tanti hanno sentito gli spari, scambiandoli però per petardi. Nessuno, invece, ha visto il killer che poco prima delle 20, il 17 marzo del 2015, dopo aver freddato Trifone Ragone e Teresa Costanza, è svanito nel nulla senza lasciare tracce. L’arma del delitto sarà ripescata nel lago del parco di San Valentino, distante solo pochi minuti in auto dal palasport, sei mesi più tardi.
 
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Per dare un volto all’assassino dei fidanzati i carabinieri hanno impegnato i loro uomini migliori e numerose le specialità: Nucleo investigativo di Pordenone, Ros, Rittel. I pm Pier Umberto Vallerin e Matteo Campagnaro (da marzo trasferitosi alla Procura di Caltanissetta) si sono trovati di fronte non a una, ma a dieci piste investigative, nove delle quali alternative a Giosuè Ruotolo.

Fra queste la cosiddetta pista bresciana, nata dalle rivelazioni di Lorenzo Kari, che ha sostenuto in Corte d’assise di essere stato ingaggiato per uccidere i fidanzati da un imprenditore, prima di evadere per la seconda volta in due anni. Tutte le ipotesi alternative sono state minuziosamente scandagliate e si sono arenate senza trovare riscontro, prima che i sospetti degli inquirenti si concentrassero sul 28enne di Somma Vesuviana. 
Il destino ha voluto che qualche giorno prima del delitto la telecamera 14 bis, che inquadra via Interna, si fosse guastata. Così, anziché brandeggiare, ovvero spostare di continuo il suo occhio elettrico, si è bloccata in una posizione fissa. Gli investigatori si sono accorti, così, dell’Audi A3, con i cerchioni in lega, il peluche sul cruscotto, lo stop posteriore sinistro bruciato, diretta al palasport e poi verso il centro, al ritorno. 
 
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Qualcosa non tornava: l’auto spariva dal raggio delle telecamere per sette minuti. Come mai? Dalla freccia di svolta a sinistra riflessa in una pozzanghera, gli investigatori dell’Arma hanno intuito che l’auto si era fermata nel parcheggio vicino all’ingresso del parco di San Valentino. Forse per disfarsi dell’arma del delitto? È proprio in quel parco, nel lago, che sei mesi più tardi verrà trovata la pistola Beretta semiautomatica, un cimelio uscito dalla fabbrica nel 1922. Giosuè Ruotolo ammetterà che quell’auto immortalata dalle telecamere è la sua a settembre, mentre a marzo aveva riferito agli inquirenti di essere rimasto a casa.

L’inchiesta sul duplice omicidio è stata la più complessa fra quelle affrontate dalla Procura e dall’Arma di Pordenone. I carabinieri hanno passato al setaccio un’imponente mole di dati digitali e più di 800 testimonianze.
 
Già una settimana dopo l’omicidio sono stati trovati i messaggi di Anonimo nel cellulare di Teresa Costanza. Soltanto nell’autunno del 2015, però, dopo aver parlato con le amiche di Mariarosaria, fidanzata di Giosuè, a Somma Vesuviana, gli inquirenti li hanno collegati all’indagato.

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