Finte vaccinazioni ai bambini, Bassetti testimone al processo Petrillo: «Con la seconda dose copertura totale per il morbillo»
UDINE. «Dopo la prima somministrazione, eseguita nel primo anno di vita, gli anticorpi per il morbillo vengono sviluppati nel 90 per cento dei bambini che ricevono il vaccino. La copertura si eleva al 100 per cento con il richiamo, che solitamente avviene in periodo prescolastico». Matteo Bassetti, fino a due anni fa direttore della Clinica malattie infettive dell’Azienda sanitaria universitaria di Udine e, poi e tuttora, alla guida dell’analoga struttura dell’ospedale “San Martino” di Genova, ha percorso 1100 chilometri per dichiararlo, nel processo in corso davanti al tribunale collegiale di Udine a carico di Emanuela Petrillo, l’ex assistente sanitaria di 35 anni di Spresiano (Treviso) accusata di avere finto di iniettare il vaccino a centinaia di bambini in Friuli e in Veneto.
Nessuna valutazione di merito da parte dell’infettivologo, ma dati scientifici, così come riportati nella perizia sulle percentuali di efficacia del vaccino trivalente con riferimento al solo morbillo che, in qualità di consulente tecnico della Procura, depositò quando lavorava in Friuli, e confermati in aula, in base alla revisione della letteratura più recente. Del resto, è anche alla luce delle sue conclusioni che il procuratore facente funzioni Claudia Danelon, nel tirare le fila dell’inchiesta, chiese il rinvio a giudizio dell’imputata per le ipotesi di reato di falso, omissione d’atti d’ufficio e peculato.
«Un’azione prolungata nel tempo, scientifica e gravemente preordinata», aveva sostenuto il pm, evidenziando come, «ristretta la forbice del riscontro probatorio a 259 bambini sottoposti alla prima dose del vaccino contro il morbillo nei soli casi riconducibili alla sua mano», il risultato avesse suffragato l’assunto investigativo. «Nessuno dei bambini – la risposta dell’accertamento – era risultato coperto». I fatti contestati sarebbero avvenuti tra il distretto di Codroipo, dove Petrillo prestò servizio dal 2009 al 2015, e l’Ulss n.2 di Treviso, dove si trasferì e lavorò fino al giugno 2017, quando, scoppiato lo scandalo, venne sospesa e successivamente licenziata per giusta causa.
Il medico è stato il primo dei tre testi - tutti della pubblica accusa - sentiti nel corso dell’udienza. «Poi, mi sono subito rimesso in auto per tornare a Genova. Ci tenevo a essere presente, perché lo ritengo un dovere civile e istituzionale, oltre che professionale – ha detto –, ma se lavori in una regione tanto distante e c’è una pandemia in corso, beh, le cose iniziano a complicarsi. Probabilmente, in queste condizioni, si sarebbe potuto fare da remoto, collegato da un altro tribunale».
È toccato poi a due ex colleghe dell’imputata rispondere alle domande delle parti. L’avevano conosciuta entrambe a Codroipo. «Somministravamo i vaccini ciascuna nella propria stanza, separate da quella del medico, e ricordo che, a differenza di quanto accadeva a me, dalla sua non sentivo quasi mai uscire i pianti dei bambini – ha riferito la prima –. All’epoca pensavo che forse ero io che sbagliavo qualcosa, ma quando ho saputo che c’era un’indagine in corso, ho visto le cose diversamente». Era stata proprio la segnalazione di una collega di Treviso, insospettita dalla docilità dimostrata dai bambini con la sola Petrillo, a mettere in moto la macchina investigativa. «Sono stata io a insegnarle le procedure vaccinali – ha detto l’altra testimone –. Erano i miei ultimi due mesi a Codroipo e la vidi inoculare vaccini». Il presidente del collegio, Paolo Milocco, ha rinviato il processo all’udienza del 6 aprile per i primi testi delle parti civili.
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