Flessibilità e qualità, Snaidero torna a crescere

MAJANO. Zero virgola due. Meglio 0,2. Scritta in cifre fa ancor più impressione. E’ la timida crescita messa a segno dal comparto cucine in Italia nei primi sei mesi dell’anno ed equivale di fatto a una situazione di stasi. Salvo per Snaidero, che in quello stesso periodo, ha invece dimostrato una vitalità tutta nuova, figlia di scelte aziendali, di prodotti d’alta qualità e di flessibilità.
Convinto che essere in grado di rispondere in tempi rapidi, di essere capaci di adattarsi alle esigenze di un mercato in costante movimento e ancora di rispondere con prodotto ritagliato su misura siano gli ingredienti del successo. Certificato dai numeri.
«Nel primo semestre dell’anno abbiamo infatti messo a segno una crescita a doppia cifra sia in Italia che all’estero. Siamo cresciuti del 10 per cento sul mercato interno, del 30 per cento in quello estero» fa sapere il presidente Edi Snaidero fiducioso che ritiene di questo passo che l’obiettivo di fine anno con 130 milioni di fatturato possa essere centrato.Non è uno che ama i numeri l’ingegnere.
A statistica, dati economici, proiezioni preferisce da sempre la concretezza. Preferisce parlare di quel che ha sotto mano, di quel che ha fatto. In questo caso dei 70 anni compiuti dall’azienda, motivo dell’Open day in programma per sabato prossimo.
Com’è la Snaidero del 2016?
«Un’azienda in evoluzione, con una gamma dei prodotti rifatta, capace di rispondere a esigenze più complesse in modo più flessibile e sempre più customizzato. Abbiamo all’arco tre aree prodotto. Quella delle icone, che ci vede collaborare con designer del livello di Pininfarina, quella della massima sartorialità, capace di ritagliare su misura la cucina per ogni necessità e desiderio, infine l’area Everyone, con gli stessi standard di qualità, ma orientata a un pubblico giovane attento anche al prezzo».

Qual è il segreto dell’importante segno più a fine primo semestre?
«La ricerca continua, l’innovazione, l’impegno per una flessibilità sempre maggiore. Che però costa svariati milioni d’investimenti, proprio nell’ottica di un costante miglioramento dello standard produttivo».
A sei mesi dalla vendita della divisione franchising e dal reshoring delle produzioni tedesche a Majano qual è il bilancio?
«Stiamo seguendo un piano di investimenti e di sviluppo commerciale che inizia a dare i suoi frutti, l’aver accentrato a Majano la produzione dell’azienda tedesca unitamente agli investimenti in impianti attualmente in fase di avviamento ha l’obiettivo di migliorare redditività, efficenza e competitività dell’azienda in un mercato sempre più complesso e globale».
Assunzioni?
«Ne abbiamo fatta qualcuna, ma quel che mi pare significativo è che abbiamo ridotto moltissimo l’uso del contratto di solidarietà. In giugno e luglio abbiamo lavorato a tempo pieno anche i sabati e un’ora in più al giorno. Merito soprattutto dell’incredibile performance dell’export».
In quali Paesi?
«Vanno molto bene l’Inghilterra, gli Stati uniti, l'Australia e tutto il Far east e la Turchia, tiene la Francia, arretra leggermente la Germania ma ci stiamo ricavando però altri spazi con l’apertura di show room a Dubai, Teheran, Singapore, Taiwan e diverse altre».
Il mercato guarda fuori ma la produzione resta ancorata a Majano. Che rapporto ha con la fabbrica?
«Da piccolo ci andavo a giocare. Con colla, imballi. In una famiglia come la mia è stato naturale per me viverci in mezzo da subito».
E che rapporto aveva con suo padre?
«Mi manca. Era un uomo carismatico, viveva per il lavoro. A Majano aveva aperto perché voleva dare a se stesso e ai suoi familiari, parenti e amici l’occasione di restare a lavorare in Friuli. Ricordo come oggi la sua reazione la sera del 6 maggio 1976 quando anche la nostra azienda fu profondamente danneggiata. Era appena atterrato a New York ed era diretto in Canada per aprire un’azienda. Seppe in diretta di quanto accaduto e risalì sul primo aereo. Ricordo quale straordinaria risposta regalarono all’azienda i dipendenti: la mattina seguente si presentarono puntuali davanti ai cancelli. Una settimana dopo avevamo già ripreso a lavorare».
Facciamo un altro passo indietro. Qual è stato il modello che ha fatto la fortuna del vostro marchio?
«Gloria. Negli anni ’60. E’ stato il primo modello che ha fatto mercato anche se oggi veniamo ricordati per Old America, che è ancora in molte case. Ma poi Skyline nel 2000 e Ola, che ormai da 25 anni è il nostro best seller. Oggi i modelli sono più di 200. Il mondo è cambiato, Snaidero risponde con maggiore flessibilità e con un’arma il cui valore supera ogni possibilità tecnologica. Il know how delle persone che ci lavorano. Dei 450 dipendenti che ogni giorno entrano in azienda per dar forma ai sogni nostri e degli architetti, che lavorano con noi consegnando alle famiglie che l’acquistano un prodotto all’altezza dei settant’anni di storia dell’azienda».
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