FriulAdria, gli anni ’50 e la ricetta Riberti

Prosegue la storia a puntate della banca in vista del centenario di sabato. Nasce il modello della “city”

Terzo capitolo, oggi, della storia a puntata della Banca Popolare FriulAdria, che sabato festeggia il centenario. Di seguito parliamo degli anni ’50 e ’60.

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Alla fine degli anni ’50, la Popolare di Pordenone, che solo successivamente diventerà FriulAdria, era ancora una piccola banca di periferia, poco più di una “cassa peota” dotata di tre sole filiali. Presidente era Giuseppe De Carli, direttore Mario Sacilotto. Quest’ultimo era subentrato nel 1956 a Gaetano Romano, altro “storico” direttore, che guidò la banca durante gli anni terribili dell’ultima guerra mondiale. Con lui c’era un unico funzionario, Nilo Mauro, con il doppio incarico di cassiere e di vicedirettore. Due erano gli “agenti”, responsabili di filiale: Carlo Brunetta per Azzano Decimo e Severino Tajariol per Pasiano. Inoltre, c’erano quattro impiegati: Carlo Basso, Achille Tami, Eugenio Paolon e il responsabile amministrativo Giovanni Danieli. Del gruppetto faceva parte anche il commesso Loris De Marchi. Tutto qui. Una decina di persone appena costituivano la “Popolare” di allora.

Nell’ottobre 1960 venne improvvisamente meno il rapporto fiduciario tra il direttore Sacilotto ed il nuovo presidente, Arturo Tamai, succeduto a De Carli. Nilo Mauro, per motivi personali, rifiutò la promozione a direttore. La banca si trovò così senza una guida e, in attesa di trovare la persona adatta, fu retta provvisoriamente da Achille Tami, promosso nell’occasione al grado di funzionario.

Allora non esistevano i cosiddetti “cacciatori di teste” a cui potersi rivolgere nella ricerca di figure specialistiche in grado di ricoprire posizioni di vertice. In simili frangenti ad un presidente non restava che rivolgersi alla propria associazione di categoria, grazie alla quale, nell’estate del 1961, il presidente riuscì ad avere un primo incontro con Mario Riberti, allora direttore generale della Banca popolare di Montepulciano, dove si era distinto per aver risollevato in breve tempo le sorti dell’istituto che versava in uno stato di crisi.

Riberti accettò la proposta del presidente Tamai e il primo gennaio 1962 prese in mano le redini della Popolare di Pordenone. Fu subito evidente che ci sarebbe stato un cambio nello stile di direzione. Si narra che diede appuntamento a tutti alle ore otto del giorno di Capodanno. Puntuale come sempre, tolta la giacca, disse: «Buongiorno signori. Anno nuovo, vita nuova. Iniziamo con il fare pulizia». E assieme spesero l’intera giornata ad eliminare carta, cartacce e, pare, perfino qualche topo che albergava nella vecchia sede di via Cesare Battisti a Pordenone.

Poco più che quarantenne, basso di statura, intelligente, dalla conversazione facile, colta, Riberti dimostrava di avere idee ben chiare e obiettivi precisi: più economia, più occupazione, più risparmio, più banca. Allora, occorreva sviluppare la raccolta più velocemente dell’inflazione. Far crescere nel personale la cultura del credito, legarlo ai sani principi dell’affezione per il lavoro, dell’attaccamento all’azienda. Si rendeva necessario infondere carica, fiducia nei propri mezzi e raccogliere la sfida della concorrenza.

A Riberti occorreva, innanzitutto, un bravo segretario a cui affidare anche la funzione di “selezionatore delle risorse umane”, almeno in prima battuta. Ovvio, l’ultima parola sarebbe spettata a lui. In Franco Monisso trovò il collaboratore affidabile che stava cercando.

Oltre agli uomini, era indispensabile avere a disposizione degli immobili in linea con le ambizioni. Quando arrivò, come detto, la sede della banca era ancora in via Cesare Battisti, al primo piano del palazzo che è situato all’incrocio con corso Vittorio Emanuele II. Era l’unico sportello cittadino. Circa 400 metri quadrati. Al pavimento, non solai ma travi ed enormi tavole di legno, cigolanti.

La costruzione della nuova sede di piazza XX Settembre venne fortemente voluta da Riberti, previa cessione del vecchio stabile su obbligo della Banca d’Italia. Una costruzione tutta nuova, nella “City” di Pordenone, piazza XX Settembre. Nel contempo volle che fosse lo sportello “principe” della Banca Popolare di Pordenone. L’inaugurazione della nuova sede avvenne nel 1967. Riberti abitò per un lungo periodo, fino alla quiescenza, nello stesso stabile.

Successivamente, riuscì ad acquistare Palazzo Cossetti, compiendo una straordinaria operazione immobiliare, con la quale vinse la concorrenza della stessa Banca d’Italia, da poco insediatasi nella neonata provincia di Pordenone. L’ingresso avvenne nel 1981. Era una questione di “status”, una avanzata forma di comunicazione, e infatti se ne parlò molto anche fuori città. La clientela gradiva che le fosse riservata una certa attenzione, che l’ambiente dove veniva accolta fosse gradevole, più di casa propria, dove un certo lusso all’epoca era un privilegio concesso a pochi. Il cliente cercava e voleva l’impiegato della Popolare perché da lui tutto era più curato rispetto alle altre banche e ciò era rassicurante e piacevole. Diceva Riberti: «Avete mai notato l’uomo della city? Si capisce subito che si tratta di un uomo di banca. Bene, deve valere anche per noi. Voglio sentir dire, quando passate per strada: quelli sono della Popolare».

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