Friuli, malga che vai... formaggio che trovi

Escursionismo, natura e prodotti tipici: esce un’agile guida dell’Ersa. Un’occasione per avvicinarsi ai ritmi tradizionali della vita alpina

Erano gli anni di Rotari, o giù di lì, e le Alpi friulane erano già monticate, come risulta da un atto di donazione riguardante un monte presso Ampicio. A sospingere in quota mandrie e greggi avrà certo contribuito l’onda delle invasioni barbariche, però i primi malgari avranno presto capito come il terreno si prestasse benissimo alla zootecnia, e come il pascolo d’altura avesse effetti benefici sul bestiame e sul latte.

In epoca patriarcale, così, l’attività si sviluppò, e nel 1275 Raimondo della Torre normò l’uso dei terreni dietro la corresponsione di una decima. Di qui prese le mosse una produzione lattiero-casearia di montagna, che si è perpetuata nei secoli, e che ai giorni nostri ha affiancato alla tradizionale funzione economica primaria anche una non trascurabile valenza turistica.

In questo contesto si colloca Malga che vai... formaggio che trovi, la guida curata dall’Ersa, che il Messaggero Veneto offre domani in allegato all’edizione odierna. Un libriccino agile, chiaro e accattivante, opera di Giordano Chiopris ed Ennio Pittino, che vuol far conoscere una realtà territoriale importante per una serie di ragioni, al di là della pur importante attività agro-alimentare.

La superficie montana e collinare su cui si dispiega la costellazione delle malghe rappresenta infatti il 40% dell’intera superficie regionale. E la monticazione, dopo lo spopolamento alpino registrato nello scorso secolo, costituisce un presidio umano non solo ambientalmente compatibile, ma anche protettivo, perché assicura il controllo di suoli idrogeologicamente a rischio, e, attraverso le attività di pascolo, sfalcio e rimozione dei cespugli, determina un aumento della biodiversità.

In passato il numero delle piccole aziende era cospicuo: il rilevamento del 1914, giusto cent’anni fa, ne aveva contate 258 (senza la Valcanale, all’epoca ancora austriaca). L’ultimo censimento, del 2009, ha trovato monticati 85 complessi malghivi (ma con accorpamenti tali da rendere meno drastica la riduzione), un trend sostanzialmente stabile, e l’introduzione di nuovi metodi e forme di agriturismo.

È a quest’ultimo aspetto che guarda la guida dell’Ersa, con le sue 64 schede per dieci settori montani (Alta Val Degano, Alta Val But, Val Chiarsò, conca di Pontebba, Alpi Giulie, dorsale Sauris-Val Pesarina-Ovaro, Alta Val Tagliamento, dorsale Zoncolan-Arvenis-Dauda, Prealpi Carniche e Giulie, Pordenonese). Di fatto, altrettante ipotesi di uscita escursionistico-gastronomica (molte malghe, oltre a latte, formadi, scuete e spongje di mont, offrono anche ristoro con piatti tipici, e possibilità di pernottamento) e l’occasione di riavvicinarsi agli usi e ai ritmi che hanno scandito storicamente la vita dell’uomo.

Una riappropriazione, e un ritorno all’antico che sa di nuovo. Perché se oggi, a primavera, sono per lo più gli appassionati della montagna “cittadini” che alzano gli occhi verso i boschi, i prati e i balzi di roccia liberi dalla neve, sino a ieri erano le comunità vallive che aspettavano con ansia il 13 giugno, festa di Sant’Antonio, avvio della transuman. za e di una stagione “alta” in tutti i sensi, che si sarebbe conclusa tre mesi dopo, alla “Madonna di settembre”.

Così per i gitanti Malga che vai... formaggio che trovi, può essere viatico per l’outdoor, ma anche per una conoscenza ragionata, fornendo sommari elementi di geologia, fauna e flora, indicazioni sulle caratteristiche e sulle tecniche di lavorazione del formaggio e della ricotta, sulla struttura stessa della malga, comprensive di termini friulani, come céelar, sécjaròle, passòn, ormai un po’ caduti in disuso se non tra gli addetti ai lavori, e, dulcis in fundo, sulla gastronomia (c’è la ricetta del bocconcini di formaggio avvolti nel lardo e serviti con marmellata di cipolla rossa). I malgari di una volta giuravano di essere in grado di distinguere l’alpeggio dalle caratteristiche organolettiche del latte, stanti le diversità delle cenosi di erbe e fiori. Forse era una millanteria, come quelle di certi sommeliers, ma certo non occorrono competenze specifiche per distinguere – e gustare – gli alimenti che vengono dai prati alpini piuttosto che dalle grandi stalle industriali. Buon viaggio e buon appetito.

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