Fs, morto per amianto: tre ex dirigenti a giudizio

Udine, il Gup ha mandato a processo gli allora responsabili dell’ex officina meccanica delle Ferrovie dove aveva lavorato l’operaio deceduto per mesotelioma pleurico
ANTEPRIMA Udine 15-10-2010 CAPANNONI FFSS
ANTEPRIMA Udine 15-10-2010 CAPANNONI FFSS

UDINE. Tutti a processo. Il giudice per le udienze preliminari, Roberto Venditti, ha rinviato a giudizio tutti i dirigenti delle Ferrovie dello Stato ritenuti responsabili dell’ex officina di Udine dove aveva lavorato un operaio udinese stroncato da un tumore nel 2006.

L’uomo aveva prestato servizio nelle officine meccaniche per la manutenzione e la riparazione dei convogli della stazione ferroviaria di via Giulia dagli anni ’70 al 1993, quando era andato in pensione. Il tumore, un mesotelioma pleurico maligno, gli era stato diagnosticato nel 2005 e non gli aveva lasciato scampo. Rimasti improvvisamente soli, soffocati da un dolore che pretendeva verità e invocava giustizia, i familiari avevano deciso di rivolgersi a un legale e di presentare un esposto alla magistratura. Nella memoria, l’avvocato Flaviano De Tina aveva portato a esempio anche il caso di altri sei ex colleghi del defunto, a loro volta morti per tumore causata dall’esposizione all’amianto. Dopo la notizia pubblicata dal “Messaggero Veneto” nell’ottobre del 2010 sull’inchiesta avviata dalla Procura, diverse famiglie avevano deciso di rompere il muro del silenzio e segnalare a propria volta le rispettive tragiche storie. Il numero dei dipendenti morti per malattie correlate alle inalazioni di amianto era così salito a nove, tutti operai che avevano lavorato nell’ex officina meccanica della stazione di Udine.

E i responsabili di quell’officina, in periodi diversi, sarebbero Pasquale Esposito, 73 anni, di Napoli (difeso dall’avvocato Gianfranco Esposito, di Roma), Gian Lorenzo Marini, 71, di Verona (avvocato Luigi Sancassani di Verona) e Umberto Eufrate, 82 anni, di Venezia (avvocato Pier Aurelio Cicuttini). L’accusa è quella di omicidio colposo per aver causato la morte dell’ex operaio. Secondo il pubblico ministero Andrea Gondolo l’uomo avrebbe lavorato in un ambiente saturo di polveri di amianto senza essere informato sui rischi derivanti dall’esposizione, senza che le strutture fossero dotate di impianti di aspirazione e senza indossare mascherine anti-polvere. Il dipendente delle Ferrovie non sarebbe nemmeno stato sottoposti a un’adeguata sorveglianza sanitaria.

Per la difesa (tutti e tre gli avvocati avevano chiesto il proscioglimento) però, anche ammettendo che ci sia un nesso causale tra l’esposizione subìta dall’operaio e il successivo decesso, è impossibile individuare il responsabile. E il motivo è molto semplice: «Considerato che il tumore resta latente mediamente per 30 anni come si fa a sapere quando effettivamente l’operaio ha contratto la malattia e quindi - ha precisato Cicuttini) chi era in quel momento responsabile?». Ma secondo il Gup, l’udienza preliminare è per sua natura inidonea allo svolgimento di valutazioni particolareggiate sia sul legame tra ambiente lavorativo e insorgenza della malattia, sia alle condotte attive o omissive tenute dai singoli datori di lavoro o da altri soggetti contrattualmente o di fatto adibiti al controllo della sicurezza nell’ambiente di lavoro. Solo nella fase dibattimentale, per il giudice Venditti, ci sarà quindi la possibilità di chiarire l’intera vicenda e di stabilire eventuali responsabilità.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto