Furlan (Cisl) mette i paletti sulla fase 2: "Devono ripartire le aziende, non il virus. Apriamo in sicurezza per non vanificare tutto"

UDINE. «Bisogna assicurare che la riapertura delle aziende porti alla ripartenza del Paese, non alla ripartenza del coronavirus». Usa un gioco di parole la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, per ammonire quanti vorrebbero premere sull’acceleratore della ripresa, che andrà gestita invece, parola sua, «in maniera graduale e in totale sicurezza».
Non come una semplice ripartenza, ma come un’occasione per ripensare l’Italia del dopo pandemia. «Un’occasione da cogliere per ricostruire profondamente il nostro Paese che non vogliamo sia più quello di prima», ci ha detto ieri, trovando il tempo, in queste ore più che mai frenetiche per il sindacato, di rispondere a qualche domanda.
Segretaria Furlan, con la proroga del lockdown la fase due slitta ulteriormente, come gestirla?
«Abbiamo convenuto con il Governo che non ci sono ancora le condizioni per una ripresa delle attività lavorative. Tutti vogliamo che si riapra nel massimo della sicurezza e con le necessarie garanzie per la salute in tutti i luoghi di lavoro. Oggi è questa la priorità del sindacato. Non possiamo assolutamente vanificare il lavoro fatto finora: faremmo un errore tragico per tutto il paese. Per questo dobbiamo capire come le aziende si stanno attrezzando, discutere quale possa essere l’esigibilità di tutti gli strumenti di sicurezza che serviranno per proteggere i lavoratori. Sarebbe sbagliato quando si incomincia a intravvedere qualche segnale tiepidamente positivo, abbandonare bruscamente il percorso responsabile che ci siamo dati».
Immagina una ripartenza spezzatino o una riapertura delle attività in blocco?
«Guardi, noi abbiamo detto con chiarezza che bisogna riprendere le attività lavorative in maniera graduale e in totale sicurezza. Ci vuole il rispetto rigoroso del protocollo sulla sicurezza, verifiche, controlli. Sono sbagliate le fughe in avanti o le sperimentazioni. Dobbiamo ascoltare le prescrizioni e i consigli della comunità scientifica e delle istituzioni sanitarie che possono aiutarci, con grande serietà e competenza, a trovare tempi e modi per gestire tutti assieme, questa fase così delicata. Come abbiamo gestito le condizioni che ci hanno portato alla sospensione delle attività economiche, allo stesso modo dobbiamo lavorare e monitorare nelle prossime settimane la “fase due”, forse ancora più delicata della prima perché legata all’indispensabile ripartenza del Paese».
Il rischio del fuggi-fuggi delle imprese è dietro l’angolo. Come evitarlo?
«Comprendiamo le preoccupazioni di molte imprese. Oggi siamo tutti sulla stessa barca. Ma il tema deve essere come si rende compatibile la riapertura delle attività con le garanzie di sicurezza per i lavoratori. Bisogna assicurare che la riapertura delle aziende porti alla ripartenza del Paese, non alla ripartenza del coronavirus. Noi vogliamo che la produzione riprenda nell’assoluta sicurezza e questo investe il lavoro che dobbiamo fare nelle imprese, ma anche nei territori, nelle città, nelle attività commerciali, soprattutto nei servizi pubblici a partire dai trasporti. È fondamentale. Non possiamo permetterci rischi».
Una volta finita l’emergenza sanitaria dovremo fare i conti con il perdurare di quella economica e con il rischio di un’emergenza sociale. Quali gli strumenti per affrontarla efficacemente? Insomma, cassa integrazione e bonus spesa saranno sufficienti?
«L’emergenza economica determinata dal coronavirus ha assunto dimensioni davvero enormi e gravi. Abbiamo bisogno di una nuova Europa unita e solidale per affrontare la grave fase di recessione internazionale. Basta con gli egoismi nazionali. Occorrono risorse straordinarie svincolate dai vecchi vincoli di bilancio. Per questo la Cisl ha predisposto un Manifesto in cinque punti nel quale abbiamo indicato a tutte le istituzioni ed alla politica le priorità per aprire una vera fase Costituente per una nuova Europa sulla scia dell’appello di Mario Draghi.
Non ci sono oggi strade alternative: bisogna aumentare il debito pubblico, emettere eurobond per almeno tremila miliardi per finanziare un grande piano di investimenti pubblici, costruire un bilancio comune a livello europeo, concordare poi tra Governo e parti sociali una manovra economica in Italia di almeno 90-100 miliardi per sostenere le imprese e l’occupazione, tagliare le tasse, reinvestire nella sanità pubblica, sbloccare tutti i cantieri per le opere pubbliche. Abbiamo tagliato 50 mila posti di lavoro nella sanità negli ultimi anni. Queste sono scelte che si pagano. Ora dobbiamo aprire una nuova fase nel Paese».
Che eredità ci porteremo dietro secondo lei di questo periodo come cittadini e lavoratori? E come cambieranno, se cambieranno, il mondo del lavoro e del fare impresa?
«Nulla sarà come prima dopo questa emergenza sanitaria: bisognerà discutere con le aziende come organizzare e redistribuire il lavoro in maniera diversa, più flessibile, più moderna. Cambiare radicalmente anche il modo di produrre, utilizzando lo smart working e lavorando in ambienti più salubri, senza eccessiva vicinanza tra i dipendenti, almeno fino a quando non sarà pronto il vaccino. Questa è un’occasione per ripensare anche il nostro modello capitalistico, perché avremo bisogno di più partecipazione alle decisioni, più coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte produttive delle aziende.
Dobbiamo essere pronti a ripartire facendo leva sul valore sociale del lavoro, della sua sicurezza, della dignità della persona. Bisogna insomma cogliere questa occasione per ricostruire profondamente il nostro Paese che non vogliamo più sia quello di prima. Un Paese che sappia ridisegnare il proprio modello sociale a partire dal riaffermare la centralità del lavoro, della partecipazione, dell’universalità del sistema sanitario pubblico, della qualità dei servizi sociali per gli anziani, per le famiglie, per le giovani madri, per i giovani, nel rispetto dell’ambiente».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto