Generazione perduta, la delusione di Steven: "Io con l'Italia ho chiuso, preferisco l'Inghilterra"

Steven ha 29 anni ed è di Codroipo. Da anni vive in Inghilterra dove, dopo l'ultimo licenziamento da parte di una ditta italiana, ha deciso di passare la sua vita. "Qui in Italia manca tutto, la meritocrazia e il valore del lavoro"

Mi chiamo Steven, nome vero, sono un meccanico aeronautico di ventinove anni e sono di Codroipo ma vivo a Glasgow.

Rispetto alla gran parte dei miei coetanei posso dirmi fortunato poiché, pur essendo figlio di operai e senza raccomandazioni, a ventuno anni avevo già un lavoro stabile in una piccola fabbrica di velivoli ultraleggeri. Nonostante il tempo indeterminato, ho dovuto lavorare sei anni per passare da 800 a 1000-1100 euro al mese, e a queste condizioni sfido chiunque a farsi una famiglia e ad affittare casa. E mi è toccato pure sentirmi dare del bamboccione da certi signori.

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Non sono laureato ma ho un diploma di perito aeronautico e tre corsi di specializzazione post-diploma fatti la sera dopo il lavoro (3 anni e mezzo di scuole serali) che qui in Italia non mi sono serviti a nulla ma, appena ho iniziato ad ampliare i miei orizzonti, mi hanno permesso di trovare finalmente il lavoro che volevo: sono diventato meccanico manutentore presso una nota compagnia aerea low-cost all’aeroporto di Londra. 

IL LAVORO (E LA VITA) ALL'ESTERO

Il primo anno è di formazione con un rimborso spese di 1200 sterline al mese che mi consente un tenore di vita più alto dello stipendio che prendevo nella ditta di prima. Finita la formazione, sono trasferito nella sezione italiana, dove il management nostrano mi propone un contratto di sei mesi con estensione di un anno, turni pesanti, straordinari e trasferimenti con e-mail di preavviso mandate il giorno stesso mentre sto dormendo.

Ma d’altro canto oggi bisogna essere flessibili e sapersi adattare, anche a rimborsi solo parziali delle spese di viaggio erogati quando vogliono loro. Almeno in Italia, giacché gli antiquati inglesi mi davano almeno una settimana di preavviso, il rimborso delle spese di viaggio era totale ed erogato dopo tre giorni, e in un anno non mi hanno fatto fare un solo minuto di straordinario che non abbia richiesto io. Solo una volta mi hanno chiesto se potevo venire a lavorare durante uno dei giorni di riposo per coprire un collega malato, non potevo e così ho cercato di spiegare il motivo al capo turno. Non mi ha nemmeno lasciato finire: “Non mi devi alcuna spiegazione, sono i tuoi giorni liberi e se non puoi, non puoi, non devi scusarti di nulla”. Proprio come in Italia vero?

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Pazienza, almeno ora devo prendere l’aereo ogni volta che voglio andare a trovare i miei o anche solo rivedere il mio Friuli. Bene, per riepilogare: ho un buon stipendio e spero in un contratto a tempo indeterminato, così da riuscire a costruirmi un futuro. Peccato che il bel sogno finisce subito: a ottobre 2016, dopo un anno e mezzo dal mio trasferimento e a meno di una settimana dalla scadenza, il direttore della filiale italiana liquida me e altri tre colleghi con “in inverno ci sono meno voli e ci serve meno gente, forse ci vediamo l’estate prossima”.

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"CON L'ITALIA HO CHIUSO"

Ovviamente curriculum in Italia non ne ho più mandati, ho trovato a gennaio un lavoro con la Compagnia di bandiera inglese e con l’Italia ho chiuso. Ci vengo solo qualche volta per andare a trovare i miei e a quanto pare il premier Gentiloni e relativo governo condividono la mia scelta: loro sono contenti che quelli come noi si levino dai piedi e anch’io sono contento di essere andato via da un paese che non fa che mettere i bastoni fra le ruote alla gente onesta che ha voglia di lavorare e di crescere senza doversi piegare a sistemi mafiosi, ricatti e senza vedersi passare davanti gente senza talento che però ha “spintarella” del potente di turno.

Non dico che l’Inghilterra sia l’Eldorado, anche questo paese qualche problemino ce l’ha. Nessun posto è perfetto e bisogna sempre e comunque darsi da fare. Ma almeno qui sanno cosa sia la meritocrazia, e se mettiamo su una bilancia i pro e i contro, e li confrontiamo con quelli dell’Italia, il paragone è semplicemente impietoso.

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Termino con un piccolo invito a riflettere. Un pilota inglese tempo fa mi ha detto una cosa che può suonare offensiva, ma mi trova d’accordo: “Io voi italiani proprio non vi capisco. Ne conosco molti che si sono trasferiti qui e che stimo molto, bravissime persone e grandi lavoratori. Poi vado in ferie in Italia e mi trovo circondato da una massa d’ignoranti convinti di essere i migliori al mondo in ogni cosa…”.

Buon lavoro a tutti.

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