Genitori contro, dentro e fuori dall’aula
UDINE. Ci sono due processi paralleli, rispetto a quello in corso di svolgimento a carico di Giosuè Ruotolo. Due dibattimenti dall’esito più scontato, ma non per questo meno meritevoli di essere seguiti.
Il primo lo ha moralmente intentato Armando Ruotolo, il papà di Giosuè, all’impianto accusatorio sostenuto dalla procura della Repubblica di Pordenone nei confronti di suo figlio.
Il secondo lo stanno conducendo, nell’animo, i familiari delle vittime, con il militare di Somma Vesuviana anche in questo caso sul banco degli imputati.
«Dopo Bossetti, tocca a noi, finire nel tritacarne mediatico – sbotta in una pausa dei lavori il papà di Giosuè Ruotolo –. Una vita di sacrifici in fumo, quelli miei, di mia moglie, di Giosuè. E per cosa? Nessuno ha visto niente, sono tutte illazioni. Mio figlio è innocente, è andato via prima di quegli spari e la difesa lo dimostrerà».
A pochi metri, ma fuori dalla porta dell’aula “ufficiale”, Eleonora Ferrante e Francesco Ragone, la mamma e il papà di Trifone, siedono su una panca. Vicino a loro Giuseppe, il fratello della vittima. Non possono assistere al processo perchè presto saranno chiamati a testimoniare.
«Ma siamo qui lo stesso – ha detto fiera Eleonora –. Siamo partiti alle sette di sera e siamo arrivati alle sette di mattina, facendo i turni alla guida. Francesco, Giuseppe e io. Non ci fanno entrare, ma ci siamo».
Eleonora è il consueto fiume in piena. Le emozioni traboccano, la sua sete di giustizia è insaziabile. Lei una sentenza, nei confronti di Ruotolo, l’ha già emessa: «Si è perfino tradito, in quel video che hanno mostrato a “Quarto grado”. Ricordate quando replica la corsa al parco e tiene le mani in tasca? All’improvviso ha un’illuminazione, si vede il volto sconcertato, e toglie subito le mani di lì. Si accorge di essersi tradito. In tasca nascondeva la pistola, che non poteva certo mostrare...».
E poco importa che sul punto l’indagato abbia sostenuto di aver mimato la corsa durante una serata con temperature rigide. Francesco ribadisce la sua convinzione sul movente: «Giosuè viveva di luce riflessa del successo e dell’allegria di Trifone, a mio avviso guardava con ammirazione sia mio figlio, sia Teresa. Poi le discussioni fra Trifone, Giosuè e gli altri commilitoni sono divenute più frequenti e non sono bastate le liti, che sono state più d’una, a causa di quel profilo Facebook creato in caserma per dividere mio figlio da Teresa. Loro hanno continuato e lui ha minacciato di denunciare Ruotolo e magari anche gli altri. Ecco com’è andata».
In due processi su tre i verdetti sono già stati emessi. E non ci sono appelli o Cassazioni che tengano. Il terzo, quello che conta, prosegue, dietro quella porta. Un mondo dove le norme contano più delle emozioni. E dove la parola fine pare molto meno vicina. (a.b.)
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