Giallo di Trieste, dopo sette mesi non c’è ancora un indagato: che cosa sappiamo della morte di Lilly e i dubbi irrisolti
Fascicolo ancora aperto per sequestro di persona a carico di ignoti: nessuna persona è finita nel frattempo sotto indagine. Ma per chiudere il cerchio serve la relazione finale sull’autopsia
Dopo sette mesi esatti non c’è ancora una verità, un’ultima parola a proposito della morte di Liliana Resinovich, trovata cadavere il 5 gennaio scorso in un angolo verde dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni. Il procuratore capo Antonio De Nicolo ha spiegato proprio ieri, a sette mesi di distanza da quel macabro ritrovamento, di aver «concesso una proroga per questioni tecniche al deposito della perizia medico-legale». Il fascicolo resta dunque aperto a carico di ignoti per l’ipotesi di reato di sequestro di persona. De Nicolo comunque conferma che «non sono emersi nuovi elementi e non ci sono indagati. La perizia medico-legale è uno strumento fondamentale senza il quale non prendiamo nessuna posizione». Sul tavolo della Procura, De Nicolo assicura come ora non manchi nulla, «solo la relazione del medico-legale».
Per chiudere il cerchio, insomma, serve un ultimo tassello. Che è un tassello-chiave. Solo dopo aver esaminato la relazione finale con i dettagli di quanto emerso dall’analisi del cadavere, la Procura - unendo tutti i pezzi di questo complesso puzzle - potrà decidere. Tre le ipotesi: la prima è che Liliana si sia tolta la vita. La seconda è che qualcuno l’abbia uccisa. La terza è che sia deceduta per morte naturale. E che qualcuno l’abbia portata all’ex Opp architettando quella complessa messinscena fatta di sacchi e sacchetti. Fulvio Costantinides, il medico incaricato dal pm Maddalena Chergia di effettuare l’autopsia, dopo aver eseguito l’esame aveva già fornito dei primi elementi utili alle indagini, attribuendo la causa della morte a uno scompenso cardiaco acuto e indicando che sul corpo non erano stati rilevati “traumi da mano altrui atti a giustificare il decesso”. All’anatomopatologo spetta ora stendere una relazione molto più dettagliata, definitiva, da cui si capirà, ad esempio, se sia stata riscontrata o meno anche una sofferenza asfittica. E se sacchi, sacchetti e spago abbiano giocato un ruolo nella morte di Liliana.
Nel tempo sono comunque trapelati altri elementi. Come quello relativo a una mancata ricrescita dei peli – Liliana si era depilata pochi giorni prima della sua scomparsa visto che doveva passare una giornata alle terme – che confermerebbe il fatto che la donna possa essere morta il giorno stesso della sua scomparsa, ovvero il 14 dicembre scorso.
Malgrado siano passati già sette mesi dal ritrovamento del cadavere della moglie, il marito Sebastiano Visintin assicura di avere «fiducia nella Procura. Non importa se serve più tempo, l’importante è che si arrivi una risposta certa, che chiarisca ogni dubbio perché io vivo un doppio dolore: quello per la perdita della donna della mia vita e poi quello per il fango che viene lanciato da pseudo-investigatori che ancora oggi, con cattiveria, avanzano ipotesi». Visintin quest’estate sta ripercorrendo in bicicletta i luoghi dove aveva passato dei momenti felici con la moglie. «Da marito di Lilly – sottolinea – chiedo a tutti rispetto per lei e di smetterla con racconti strampalati».
Attende i risultati dell’indagine anche Nicodemo Gentile, l’avvocato di Sergio Resinovich, fratello di Liliana: «Siamo sicuri che la Procura di Trieste farà ogni sforzo per accertare la verità – così il legale – e dunque attediamo l’esito delle indagini. Rispetteremo qualsiasi tipo di determinazione da parte della Procura, dopo di che faremo le nostre valutazioni».
L’amico del cuore di Liliana, Claudio Sterpin, racconta a propria volta come «con i familiari di Liliana, il fratello soprattutto, spesso ci diamo appuntamento nel parco dove è stata trovata, per sentirla vicino. Voglio sperare – sottolinea – che nessuno parli più di suicidio: Liliana o è morta per cause naturali, ma non dove è stata trovata, o qualcuno l’ha uccisa. Per qualcuno sette mesi sono pochi, ma per chi attende risposte e prova dolore sono un’eternità, anche perché se non fosse successa quella tragedia io e lei vivremmo insieme da sette mesi».
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