Gianluigi Buffon: "Io un campione? È nel dna dei friulani"

LATISANA. «Il mio essere al 50% friulano ha avuto un peso importante in ciò che sono diventato. La laboriosità, il modo di approcciarsi al lavoro, la costante ricerca della perfezione, la solidità mentale, sono doti spiccatamente friulane.
E sono in quel 50% di friulano che porto con me. Mai scordarsi le proprie radici. I luoghi e le persone che hanno segnato la propria formazione. E in tutto questo c’è Latisana».
Come a dire che se sei almeno in parte friulano e giochi fra i pali le probabilità di arrivare in alto ci sono davvero tutte.
Parola di Gianluigi Buffon, ospite in municipio a Latisana, lunedì 12 giugno, per la consegna della cittadinanza onoraria che il Comune ha deciso di tributargli non senza un antefatto: doveva essere il Premio Vigilia di Natale 2016 – come ha raccontato Marco Caineri di Sky introducendo la consegna – quello stesso premio che alla prima edizione nel 1982 venne consegnato a un’altra gloria del calcio italiano, portiere del Milan e della Nazionale degli anni Cinquanta, Lorenzo Buffon, cugino di secondo grado del nonno di Gigi «mi regalò un gagliardetto del Milan con una dedica “all’amico Gigi con l’augurio che diventi milanista”», ha ricordato ieri Gianluigi.
Qualche edizione dopo quel premio andò anche ad Adriano Buffon, papà di Gigi e atleta nazionale nel lancio del peso. Impossibile però trovare la giornata che potesse andare bene, fra campionato e coppe, per consegnarlo anche al figlio Gigi.
Poi l’occasione: la partita dell’Italia a Udine e la decisione di trasformare quel riconoscimento che ogni anno il comune dà a latisanesi o figli di latisanesi che si sono particolarmente distinti nella propria attività, a qualcosa di più prestigioso, di più sentito e unico, come la consegna del sigillo della città.
«Non potevo mancare, sono orgoglioso di esserci e anche del fatto che si siano Ilaria e mia suocera, che hanno a cuore i miei affetti».
E lei, Ilaria D’Amico, splendida nel suo abitino bianco è li in prima fila, a fianco del suo Gigi anche in questo tuffo nel passato: «Ricordi indelebili – racconta Buffon – perché più si cresce e più si perdono i ricordi recenti, mentre quelli remoti acquistano ricchezza».
E quei ricordi sono le estati a Pertegada, dai nonni, con zii e cugini, ore e ore trascorse a giocare a palla, o andando in bici e il raffronto con le nuove generazioni è immediato: «Quando guardo i miei figli, ragazzi proiettati verso il mondo e il loro modo di divertirsi, di giocare, lo paragono al mio di un tempo, molto più semplice, però non lo cambierei mai con il loro.
Trovare un diversivo alla noia vuol dire mettere in moto il cervello e trovare interessi. Ed è quello che mi accadeva giocando per ore a palla o andando da solo in bici, perché a 4 o 5 anni era possibile, non c’erano pericoli, c’era fiducia nella comunità, tutte cose che chi è di oggi non potrà mai assaporare.
Certo sapranno meglio l'inglese e si relazionano meglio, ma io sono orgoglioso di come sono cresciuto e di come sono stato educato dai miei genitori. Tutto ciò mi ha portato dove sono».
E ieri c'era un testimone di quelle scorribande, parroco di Pertegada allora, monsignore di Latisana oggi, don Carlo Fant, «une squadre di lazarons, lui Sergio, Marino, Arrigo – così ricorda i compagni di giochi di Gigi Buffon – ma dei lazarons buoni di quelli che sanno che l’ordine si esegue e non si discute perché questa era l'educazione di allora».
«Sono proprio emozionato non mi aspettavo tanta dimostrazione d’affetto – ha commentato papà Adriano che a Pertegada ha ancora un fratello, un nipote e altri parenti – cerchiamo sempre di mantenere il filo conduttore della famiglia», ha aggiunto ammettendo che appena riescono tutti assieme una capatina a casa la fanno volentieri.
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