Gianni, il maniscalco che gira il Friuli su un pick-up per ferrare i cavalli

Spiega che a volte, se ci si mette in ascolto del “rumore” dell’andatura, si può riconoscere se un cavallo ha problemi di zoppia. In alcuni casi si può capire se si tratta di mancato equilibrio tra la parte ossea, tendinea e legamentosa «e allora, in prima battuta, opera sempre il veterinario», o se basta intervenire sulle unghie dell’animale, limandole, o con una nuova ferratura. Ed è proprio in questi casi che a scendere in campo è il maniscalco. Gianni Rossetto, classe 1961, veneto di nascita, trapiantato a Fraelacco «per amore», lo è da diciassette anni. Con il suo pick-up, trasformato in officina ambulante, arriva direttamente a domicilio. La sua clientela, racconta, è sparsa un po’ in tutto il Friuli collinare, fino a Pordenone, tra privati e i più importanti maneggi della zona.
E spiega che la passione per questo antico mestiere è nata in maniera del tutto naturale. «Nel 1988 c’è stato l’acquisto del primo cavallo e l’ingresso nel mondo del “reining”, una disciplina dell’equitazione americana». Da quel momento Gianni ha iniziato a ferrare da solo il proprio animale. Imparando l’arte della “mascalcia” a bottega. In particolare in quella del maniscalco Valerio Ellero di Tricesimo. «Preparava tutto in officina e poi si muoveva esclusivamente in Vespa, con l’immancabile borsa in vimini piena zeppa di attrezzi», ricorda.
«Intanto io osservavo e facevo domande, ammirando la sua proverbiale precisione anche mentre prendeva le misure dello zoccolo usando un semplice pezzetto di legno. Questo è un lavoro che non ammette errori e se una ferratura è mal fatta, se si lima l’unghia anche di un solo millimetro in più, se quando buchi lo zoccolo sbagli di un niente, l’animale ne risentirà e il suo benessere sarà compromesso».
Grazie a Ellero, fa capire Rossetto, sono stati acquisiti “i fondamentali”. Poi, l’esperienza maturata durante le gare («Anche in questi casi chiedevo di poter stare accanto al maniscalco e in silenzio cercavo di imparare il più possibile») è stata consolidata da una serie di corsi professionali promossi in regione dall’Ersa. In Italia, spiega, «non esiste una scuola specifica come in altre parti d’Europa, in Inghilterra soprattutto, dove senza un apposito tirocinio non è permesso mettere mano su un cavallo. San Siro, con il suo ippodromo, resta il punto di riferimento italiano del settore».
E fare il maniscalco è ancora un mestiere che si può imparare unicamente sul campo. «Anche se oggi ci sono delle università, come quella di Parma, che si interessano parecchio a questo mondo». Un mondo che si è evoluto rispetto ai tempi in cui operava Ellero, spiega. «Lui, che di mestiere faceva anche il fabbro, i ferri se li realizzava da solo. Recuperava il materiale in ogni dove e lo fondeva. Attualmente il mercato, invece, ne offre una vasta gamma: in ferro, alluminio, leghe particolari, per rispondere ad ogni specifica esigenza. Certo, i ferri vanno poi adattati all’animale, ma la tecnologia ha dato una grossa mano ad un mestiere che, in verità, resta comunque molto faticoso». E pure pericoloso, se non affrontato con la dovuta cautela e sicurezza. Ne sa qualcosa Gianni, che ha già collezionato più di qualche frattura, soprattutto alle mani.
«Ci vuole anche una buona dose di tranquillità quando ci si appresta a ferrare un cavallo, perché l’animale sente se sei agitato e insicuro. L’operazione – spiega – di norma si ripete ogni 40-50 giorni e richiede circa un’ora e mezza di lavoro». Tempo durante il quale Gianni non solo opera con lime, martelli, termometri («Un versamento provoca sempre calore»), tenaglie, metro e podogoniometro (strumento che rileva l’angolazione laterale dello zoccolo e la parte palmare), ma che impiega pure per osservare come si muove l’animale e correggere l’eventuale zoppia intervenendo sui ferri.
«Ormai – aggiunge – i cavalli che ferro li conosco e loro conoscono me, quindi opero con meno apprensione». Ma con la medesima passione degli esordi, “ingrediente” che non può mancare se si vogliono carpire tutti i segreti di un’arte che certo non si impara sui banchi di scuola, fa capire Gianni che ancora prima di diventare maniscalco aveva fatto del “lavoro con le mani” la sua professione. In quel caso sotto il tocco esperto delle sue dita erano finiti gli organi che lui, per anni, ha riparato per conto di un’azienda veneta. Poi, come detto, per amore il trasferimento in Friuli.
E l’avvio di un’attività artigianale che, spiega, «è remunerativa e ci si può ancora vivere». E che è diventata anche una delle protagoniste della mostra fotografica in cammino «Dentro le botteghe, oltre i mestieri», firmata dagli udinesi Antonella Oliana e Angelo Salvin. Attraverso i loro scatti hanno catturato – e stanno catturando, essendo un progetto “in cammino” (con pagina Facebook dedicata) – immagini che “raccontano” l’amore, la passione e il sacrificio di artigiani che hanno fatto dei mestieri antichi – a volte inconsueti e rari come quello del maniscalco – la loro attività.
Come Gianni. Che, racconta, è riuscito a crearsi la clientela grazie al passaparola. Soddisfazione non da poco, ammette, facendo capire che nel suo caso entrare in sintonia con l’animale è parte integrante del suo lavoro. E non solo. Per fare questo mestiere, aggiunge, «è importantissima la conoscenza dell’anatomia dell’animale, in particolare quella del piede. Al proposito ci sono numerosi studi che aiutano a capire le varie problematiche o patologie partendo dalla semplice osservazione del cavallo, anche mentre sta mangiando». E quella del maniscalco, soprattutto in caso di gare, è un’arte che si esprime interagendo anche con addestratore, cavaliere e veterinario affinché l’animale arrivi in forma ottimale alle competizioni. «E se hai fatto un buon lavoro sarà il cavallo stesso che te lo farà capire», conclude.
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