Giò lascia dopo quarant’anni il bancone del bar Colonna e ritorna nella sua Basilicata

il personaggio
Laura Venerus
Ha lavorato fino all’ultimo dietro al bancone, non lasciandosi sfuggire niente sull’imminente fine di un’era: dopo 40 anni trascorsi a Nordest, Giovanni Marranghino, meglio noto come Giò, ieri ha chiuso la serranda del suo Giò Bar in via Colonna. Il futuro lo attende nella sua terra natia, la Basilicata, dove tornerà per continuare l’attività che ha sempre svolto.
Ieri sera, unica concessione che ha reso diversa una giornata lavorativa come tante altre, il brindisi offerto alla clientela e ai tanti collaboratori che l’hanno accompagnato in questi anni.
Giò è arrivato al nord quando aveva 15 anni per le stagioni estive tra Lignano e la montagna. Ha scelto Pordenone come città d’adozione e qui ha aperto il primo bar nel 1990, il New Bar in viale Trieste, di fronte alle scuole Gabelli. «Ho trovato una città accogliente, che mi ha messo fin da subito a mio agio – ha raccontato –. Nel mio primo bar ho trovato una famiglia, tra condomini e il personale scolastico che lo frequentava. Tanto che a più di qualcuno sono venute le lacrime agli occhi quando ho lasciato quel primo locale per trasferirmi, una decina di anni dopo, in piazza Duca d’Aosta».
Nei primi anni Duemila ha aperto il bar Duca in piazza Duca d’Aosta: la clientela era più giovane e il locale aveva un bel giro, grazie anche alla presenza della Questura, lì nei pressi, e ai dipendenti che lo frequentavano. Giò non nasconde che uno dei motivi del trasferimento in via Colonna sia stato proprio il trasloco della Questura in largo Palatucci, a pochi passi dal locale, seguendo in qualche modo i clienti che erano nel frattempo diventati suoi amici. «Il nome Giò Bar è stato naturale – ha ricordato – anche perché nessuno mi chiama Giovanni, per tutti sono Giò»
Dopo tanti anni, però, il richiamo di casa, della famiglia, dei genitori, dei fratelli, si è fatto più forte. Di qui l’idea di tornare nella sua Basilicata, nelle vicinanze di Roccanova, in provincia di Potenza, assieme alla compagna Livia, anche lei lucana trapiantata a Pordenone.
«Sono uscito da casa a 15 anni e ora che ne compio 55 sento il richiamo di casa, voglio avvicinarmi ai miei genitori che sono anziani – ha confessato –. Ma non mi ritirerò dal lavoro. Continuerò anche lì ciò che ho sempre fatto, tra bar e ristorazione».
In tutti questi anni, Giò ha visto una città profondamente cambiata. «Nei primi anni Novanta la locomotiva Nordest trainava forte l’economia – ha ricordato –. Poi anche qui le cose sono cambiate e i locali, come i bar che ho gestito, sono i primi ad accorgersi dei mutamenti nelle abitudini economiche della gente. Ma devo dire che da un anno a questa parte le cose sono di nuovo migliorate. Non lo dico soltanto per la capacità di spesa, ma soprattutto per l’atteggiamento: sto rivedendo la gente sorridere, essere più serena e forse fiduciosa per il domani».
Oltre a Livia, nel locale lavora Leonardo: anche loro due, assieme ai collaboratori del passato, hanno festeggiato la conclusione di un’epoca. Ma le porte del Giò Bar non si chiudono: probabilmente con un nuovo nome, il locale riaprirà i primi di maggio con una nuova gestione. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto