Gli affari sporchi della coop con interessi in Friuli
GORIZIA. L’insegna del gruppo “La Cascina” svetta sopra quelle delle multinazionali del polo commerciale della Romanina, periferia sud della Capitale. Supera persino la sopraelevata del Raccordo Anulare: è visibile già a qualche chilometro di distanza.
Non poteva essere altrimenti, d’altronde, per il gigante della cooperazione vicino a Comunione e Liberazione, con «oltre 7.300 dipendenti e 36 milioni di pasti preparati all’anno». Un’ombra che si allunga anche in Friuli, in provincia di Gorizia. La Cascina, infatti, come evidenziato pochi giorni fa dall’assessore provinciale Ilaria Cecot, dovrebbe prendere in mano la gestione dei 50 richiedenti asilo in procinto di essere sistemati in un ex hotel di Dolegna, secondo un accordo raggiunto con la Prefettura.
Un coinvolgimento che lascia senza parole il sindaco del piccolo paesino a vocazione enoturistica: «A maggior ragione la nostra protesta diventa ancor più forte da oggi - sottolinea Diego Bernardis - è semplicemente incredibile che un organo istituzionale come la Prefettura dia l’autorizzazione ad operare sul nostro territorio ad una cooperativa su cui al momento gravano determinate indagini di tale gravità.
Ed è ancor più assurdo che da quando è scoppiato il caso dell’arrivo a Dolegna di 50 richiedenti asilo nessun rappresentante né della Prefettura né della cooperativa stessa si sia fatto vivo con il sottoscritto per un confronto».
Bernardis questa mattina passerà intanto dalle parole ai fatti: «Invieremo una lettera ufficiale protocollata alla Prefettura stessa - anticipa il sindaco - nella quale come Comune chiederemo, oltre alle sopraccitate e sinora mai pervenuteci spiegazioni, anche di poter accedere agli atti per verificare in base a quali criteri sia stata rilasciata da un organo istituzionale di questo livello un’autorizzazione a portare queste 50 persone a Dolegna. Qual è la motivazione e la procedura alla base di tutto questo? Pretendiamo che ci vengano date delle risposte in merito».
Ieri nella sede romana de La Cascina sono stati arrestati quattro manager di punta della coop: Francesco Ferrara, Domenico Cammisa, Salvatore Menolascina e Carmelo Parabita. Secondo gli inquirenti Luca Odevaine, ex vice capo gabinetto del sindaco Veltroni ed ex direttore della polizia provinciale di Roma «riceveva da Cammisa, Ferrara, Menolascina e Parabita» in qualità di appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull’immigrazione «la promessa di una retribuzione di 10.000 euro mensili» per l’aggiudicazione di almeno tre gare d’appalto tra il 2011 e il 2014. La longa manus di Odevaine si stendeva fino in Sicilia: al Cara di Mineo, in provincia di Catania. E avrebbe ottenuto persino ottenuto un raddoppio del compenso mensile, dopo l’esito favorevole della gara del 7 aprile 2014.
Agli arresti domiciliari è finito anche Tiziano Zuccolo, che figurava anche nella prima ordinanza (ma non era indagato) nel passaggio sul patto per la spartizione dei migranti con la “29 giugno”, la coop di Buzzi.
Ex dipendente della Cascina (nel novembre e dicembre 2011), ex responsabile dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e del Trifone, ex presidente del Consorzio Casa della Solidarietà (di cui è parte anche la Cascina), oggi amministratore della Domus Caritatis, Zuccolo aveva coperto tutto l’arco istituzionale delle cooperative cattoliche più influenti nella Capitale.
E, secondo gli inquirenti, avrebbe ordito insieme a Buzzi la turbativa d’asta «volta ad aggirare la procedura amministrativa diretta da Aldo Barletta», il funzionario del Dipartimento delle politiche sociali, che secondo l’ex numero uno di 29 giugno «aveva applicato in 10 giorni tutto quello che non era mai stato applicato».
Ma fatta la legge trovato l’inganno: i due avrebbero fatto pressioni sui partecipanti all’asta, inducendo tutti al ritiro immediato. Tanto che Buzzi avrebbe detto a Pierina Chiaravalle: «Mi merito l’oscar per la regia, ma nessuno me lo darà mai».
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