Gli infermieri ogni giorno in prima linea per sconfiggere il coronavirus: «Abbiamo paura ma andiamo avanti»

Combattono una guerra, giorno e notte. Turni che iniziano ma non si sa quando finisco, ferie che non esistono e ore di straordinario che continuano ad accumularsi. Un esercito di medici, infermieri e operatori socio sanitari in prima linea per gestire l’emergenza coronavirus.
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Nicola Tioni fa l’infermiere al pronto soccorso di Udine. Lavora sul campo. Prova ansia, paura, non lo nasconde, ma il coraggio non manca. «Tutte armi che mi aiutano – ci confida –. Sono consapevole del fatto che torno a casa e il giorno dopo, con molta probabilità, il mio turno di lavoro in pronto soccorso si svolgerà nella cosiddetta “zona blu”, l’area dove si accolgono e trattano i pazienti sospetti e/o positivi al Covid-19».
La giornata di Nicola inizia alle 7. «La tachicardia aumenta mentre mi vesto con i dispositivi di protezione individuale, stringo il facciale filtrante per farlo aderire il più possibile al volto. È iniziato il turno. Mi accorgo quanto sia faticoso respirare e muovermi con il caldo e il sudore».
Iniziano ad arrivare i primi pazienti con serie difficoltà respiratorie. «Li stabilizziamo per quanto possibile. Giunge il momento di eseguire il tampone nasofaringeo. In quel momento il pensiero è rivolto ai familiari, compagni, figli che aspettano a casa. Appena finisco di trattare il paziente assieme al medico mi cambio i guanti e stringo la mascherina per cercare di migliorare l’adesione al volto, che, giorno dopo giorno, porta i segni caratteristici: rossore sul naso e sulle guance. Passa il tempo, mi rendo conto che non posso bere né andare in bagno per non sprecare i dispositivi di protezione».
Dopo ore di attesa arriva il responso del tampone di uno dei pazienti: positivo. A volte manca la forza di guardare negli occhi chi attende il risultato. «Un tonfo al cuore ma non c’è tempo, ci sono altri pazienti da accogliere. Il team di medici, infermieri ed oss deve continuare a visitare. Spero che la pandemia che adesso ci sta colpendo porti qualche spunto di riflessione. Forse, finalmente, verrà posta un’adeguata attenzione sulla necessità di investire sulla sanità con adeguati fondi, macchinari e dispositivi omologati di protezione individuale per il personale.
Auspico che anche in futuro la stampa e l’opinione pubblica diano il giusto merito anche a noi infermieri, spesso considerati come segretari o responsabili di una cattiva assistenza. È importante fare capire quanto siano utili i servizi di emergenza sanitaria, che non devono subire un abuso attraverso accessi impropri al pronto soccorso, se non per effettiva urgenza. Non ci consideriamo eroi: eseguiamo semplicemente il lavoro che abbiamo deciso di svolgere. Chiediamo solamente il rispetto della nostra figura professionale».
Dana Burba è una dipendente dell’ospedale di Udine. «Tutto quello che sta succedendo noi lo vediamo con i nostro occhi – scrive sul suo profilo Facebook –. Facciamo i tamponi e aspettiamo con ansia la risposta. Ogni paziente nuovo che entra nel nostro reparto ormai blindato è potenzialmente infetto. Indossiamo la mascherina tutto il giorno ma sappiamo che non ci proteggerà se dovessimo entrare in contatto con il virus. Quando il turno finisce la testa non stacca e ci facciamo docce infinite insaponandoci più volte come se volessimo lavare via le preoccupazioni. Torniamo a casa stanchi e quando i nostri figli ci corrono incontro non sappiamo se possiamo abbracciarli e se dobbiamo allontanarli. Vi annoiate? Pensateci. Voi adesso siete al sicuro, noi in prima linea e vulnerabili».
Alla centrale Sores di Palmanova, diretta dal dottor Vincenzo Mione, nel mese di marzo sono già 512 le ore di straordinario totalizzate. Chi era in ferie è rientrato. «Ci sono state giornate in cui abbiamo risposto a migliaia di chiamate, che all’inizio erano informative – spiega Luca Abbate, dirigente del sindacato degli infermieri –. Ora sono stati adottati appositi protocolli ma vista l’esiguità del personale le attese sono molto lunghe per chi chiama. La situazione è difficile e ha fatto emergere problemi gravi, come la mancanza di personale e posti letto. Cerchiamo di rassicurare i cittadini e continuiamo a ripetere di restare a casa e limitare ogni contatto».
In provincia la situazione è complessa. «Mancano, come dappertutto, dispositivi di protezione generale, le mascherine e le tute, che sono contate – spiegano il presidente Diego Modesti e il direttore della Croce Verde Basso Friuli, Roberto Drusetta –. Speriamo arrivino al più presto».
Andrea Martina, dipendente alla Croce Verde Goriziana, spiega che molti interventi si rivelano non necessari. «perché a volte i cittadini si fanno prendere dal panico. Facciamo il nostro dovere fino in fondo ma la preoccupazione c’è. Potremmo essere asintomatici e allora evitiamo ogni tipo di contatto. Ai cittadini dico di fare altrettanto. Aiutateci».
Non c’è una previsione, secondo Stefano Giglio, presidente dell’Ordine degli infermieri della provincia di Udine, e non è possibile programmare nulla visto che la situazione è in continuo divenire. «Si può avere paura di ciò che si conosce ma in questo caso io parlerei di angoscia perché scopriamo condizioni cliniche particolari e non avere una cura idonea per combattere il virus rende tutto più difficile. Siamo in prima linea ma siamo anche persone umane.
Dobbiamo gestire l’emergenza ma anche rapportarci con le nostre famiglie. C’è una carica psicologica importante perché possiamo diventare veicoli di una possibile infezione. I dispositivi di protezione ci sono, anche se non abbondanti, ma non bastano e poi operare con visiere, tuta e mascherine è a dir poco complesso».
La competenza e la professionalità degli infermieri sono una garanzia ma Stefano Giglio, che ringrazia anche chi lavora sul territorio e gestisce la presa in carico dei pazienti a domicilio, teme che la situazione possa peggiorare. «Nelle prossime settimane - conclude - questa organizzazione potrebbe essere messa a dura prova, ma ci auguriamo di riuscire a sorreggere il carico».
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