Gli rompono la bici, spedizione punitiva a scuola con il padre
UDINE. Si dice che per educare i bambini vale più l’esempio che mille parole. C’è da sperare che non sia andata così per A. T. 43 anni, padre di quell’alunno della scuola Manzoni, accusato di aver minacciato di morte i compagni di scuola del proprio figlio, rei di avergli danneggiato la bicicletta, e di aver addirittura prelevato a forza uno di loro, portandolo via dalla propria abitazione e caricandolo sulla propria auto.
Una storia di dispetti fra ragazzini di 13 anni e di giretti in bici. O, almeno, è così che è cominciata. Poi, però, è finita in una lite fra due padri che sono quasi venuti alle mani e che solo l’intervento dei carabinieri, in piazza Garibaldi dinanzi alla scuola, è riuscito a sedare. E poi le minacce di ritorsioni su un paio di ragazzini che ieri si sono presentati in tribunale davanti al giudice monocratico Carla Missera per raccontare la loro versione dei fatti.
Era il settembre del 2009. Primi giorni di scuola, e l’estate non voleva finire. Così, molti degli alunni della Manzoni arrivavano a scuola pedalando e poi infilavano le bici nelle rastrelliere. Ma una di quelle biciclette, secondo un racconto che i ragazzini hanno abbozzato ieri in aula incalzati dalle domande del pubblico ministero Alberto Cino, è stata ritrovata danneggiata e bucata al termine delle lezioni.
Comprensibile la delusione del legittimo proprietario, che è tornato a casa lamentandosi con il padre e indicando un trio di ragazzini che avevano messo gli occhi sulla “due ruote” chiedendo di fare un giro. Meno comprensibile la reazione del padre che, il giorno successivo, stando al racconto dei ragazzi, si sarebbe presentato a scuola minacciando due ragazzini che lui riteneva responsabili dei danneggiamenti.
«Vi aspetto all’uscita da scuola» avrebbe detto a uno dei due che, spaventato, ha telefonato al padre pregandolo di venirlo a prendere. Forse i ragazzi pensavano di poter contare sulla saggezza dei padri per dirimere la controversia. Niente affatto, perchè all’ora di pranzo i due padri si sono scontrati e se ne sono dette di tutti i colori, tanto che per evitare di approdare a uno scontro fisico è stato richiesto l’intervento dei carabinieri.
E non è finita, il mattino successivo, stando al racconto di uno dei ragazzi, l’uomo si sarebbe presentato nella sua abitazione e lo avrebbe prelevato. «Mi hanno caricato a forza in macchina – ha dichiarato il ragazzino ieri al giudice –. Erano in due, uno guidava e l’altro mi teneva dietro in macchina». Un breve tragitto fino a casa del presunto “complice” per un confronto. «Ci ha anche minacciato, ha detto che ci ammazzava» ha aggiunto il ragazzo. Il confronto, alla fine, non c’è stato e il ragazzo è riuscito a tornare a casa. Poi sono partite le denunce per violenza privata e minacce, e poco c’è mancato che scattasse l’accusa di sequestro di persona. Ma per la difesa rappresentata dall’avvocato Giovanni Adami, sostituito in aula ieri dell’avvocato Giovanni Tarragoni, le cose non sono andate proprio così.
Troppo confusa e lacunosa la ricostruzione fatta dai ragazzi, troppi «non ricordo» e troppi «non so». Bisognerà attendere il 18 giugno, data in cui è stata fissata la prossima udienza, per conoscere la tesi difensiva, secondo la quale la violenza privata e la minacce non ci sarebbero di fatto mai state.
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