Grado 3, guerra legale tra soci sui terreni

Bernardis e Monino accusati di estorsione da Madotto. Pm e gip archiviano: «Rientra nella “battaglia” imprenditoriale»

GRADO. In ballo c’era un’operazione immobiliare da quasi 300 milioni di euro: il progetto “Grado 3” di urbanizzazione della Sacca dei Moreri di Grado. La stessa che, quest’estate, ha visto finire sotto la lente della magistratura triestina l’operato della soprintendente ai Beni architettonici e paesaggististici del Fvg. Accusata - questa l’ipotesi di reato - di abuso d’ufficio. Qualche mese prima, nel silenzio degli uffici giudiziari, altre due Procure si erano occupate del caso: quella di Tolmezzo prima e quella di Udine poi. A metterle in moto, però, non era stato il consueto fuoco di fila di esposti delle associazioni ambientaliste, bensì uno dei due soci della Parin srl, ossia della società che deteneva il 40 per cento di Limbara srl, proprietaria dei terreni di Sacca dei Moreri.

Una “battaglia” tutta interna, insomma, partita l’inverno scorso dalla denuncia sporta da Daniele Madotto (socio al 50 per cento), culminata in un’inchiesta per presunta illecita influenza sull’assemblea e per un’altrettanto supposta estorsione a carico di Massimiliano Monino (socio per la restante metà) e - per il solo secondo capo - di Adriano Bernardis, amministratore unico di Limbara e socio di maggioranza del Consorzio che raggruppa gli imprenditori coinvolti in “Grado 3”, e approdata in questi giorni nel decreto di archiviazione disposto dal gip su richiesta del pm. Un ulteriore filone, tutt’ora aperto, aveva riguardato due ipotesi di falsa testimonianza e calunnia nei confronti del solo Monino.

Al centro della vicenda, la tesi secondo la quale Madotto sarebbe stato costretto a cedere a Bernardis la propria quota della Parin per 1 milione 250 mila euro, a fronte di un valore effettivo stimabile in non meno di 2,5 milioni. «Mi ha minacciato che, se non lo avessi fatto - recita la denuncia - Limbara avrebbe svenduto i terreni di Sacca dei Moreri». Ricostruzione che il procuratore aggiunto di Udine, Raffaele Tito, aveva liquidato ritenendo insussistente e comunque improcedibile per tardività della querela la parte relativa all’illecita influenza e ancor più inconsistente l’accusa di estorsione.

«È certamente lecito che Monino possa provocare il blocco della società “per motivi di interesse personale”. Un imprenditore questo fa - si legge nella richiesta di archiviazione -. È altrettanto lecito che un socio (il Monino appunto) possa contrattare la sua quota con un acquirente (nella specie il Bernardis) separatamente e senza avvertire gli altri soci. Allo stesso modo, ogni socio può vendere al prezzo che vuole, anche al di sotto del suo valore reale (magari per averne un tornaconto in altri affari), ma non per questo compie un atto fraudolento, penalmente rilevante». Non meno nette le conclusioni sull’ipotesi estorsiva. «Si tratta di comportamento che rientra ampiamente nella “battaglia” imprenditoriale - si legge ancora - dov’è ovvio che chi ha maggiori disponibilità di fatto comanda».

A nulla è valsa l’opposizione presentata dall’avvocato Oliviero Comand, al quale Madotto si era rivolto per la denuncia, e che aveva giudicato le parole del pm «alquanto sbrigative» e, ricordando tra gli altri i casi Mps e Parmalat, «in netto contrasto con i principi di trasparenza e onestà negli affari». «Il socio di una società di capitali - aveva contestato l’avvocato Comand - non può e non deve provocarne il blocco per interessi personali, nè - tra le altre cose - eludere l’esercizio del diritto di prelazione da parte del socio, affermando fraudolentemente di aver risolto un contratto preliminare che, invece, non è stato risolto, e vendere le proprie quote a un prezzo simulato». Finito sul tavolo del gip Francesco Florit, il caso è stato definitivamente chiuso in termini altrettanto inappellabili. «La vicenda - ha decretato il giudice - risulta incongrua e non credibile. Il primo a essere danneggiato dalla vendita dei terreni a un prezzo troppo basso sarebbe stato il socio di maggioranza di Limbara. Non si riesce veramente a capire perchè Bernardis avrebbe dovuto danneggiare se stesso per fare un dispetto a Madotto».

Argomentazioni simili erano state portate in difesa dei rispettivi clienti dagli avvocati Luca Ponti (per Bernardis) e Luca Francescon (per Monino). «Nessuno avrebbe comprato le quote di Madotto a un prezzo diverso - ha sostenuto l’avvocato Ponti -. Se ci fosse stato, avrebbe avuto lui la possibilità di limitare l’operazione a Bernardis, che si sarebbe visto “costretto” a pagarle magari di più pur di averle. E non avrebbe certo contestato un’estorsione a Madotto».

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