Gravidanza a rischio a giudizio il ginecologo

di Luana de Francisco
Lei, una lavoratrice incinta, era stata accusata di truffa, per essere stata sorpresa ad aiutare nel bar del fidanzato, nonostante avesse chiesto e ottenuto dalla Direzione provinciale del lavoro il beneficio della maternità anticipata e la relativa indennità. Lui, il ginecologo cui la giovane si era rivolta per il rilascio del certificato medico di gravidanza, era stato a sua volta indagato per falsità ideologica in atti pubblici, per avere apposto il timbro dell’Ass n.5 “Bassa Friulana”, l’azienda di cui era dipendente, pur avendola visitata nel proprio studio privato e senza che della patologia fosse stata data alcuna segnalazione sia clinica, che ecografica.
Ieri, al termine dell’udienza preliminare, le loro strade si sono separate. Caso chiuso per Agata Sangiorgio, 24 anni, originaria di Catania e residente a Udine, nei confronti della quale il Gup, Paolo Alessio Vernì, ha disposto il non luogo a procedere “perchè il fatto non sussiste”. Rinvio a giudizio e, quindi, approfondimento giudiziario in sede dibattimentale, invece, per Vincenzo Cara, 56 anni, residente a Portogruaro. Il pm, Marco Panzeri, titolare dell’inchiesta, aveva chiesto il rinvio a giudizio per entrambi. A pesare a favore della giovane, che era assistita dall’avvocato Flavio Mattiuzzo, è stata, in particolare, una perizia tecnica con la quale le difese avevano dimostrato l’esistenza di una “minaccia d’aborto”. Perizia che, tuttavia, non è bastata a scagionare il medico, sul quale permane dunque l’ipotesi del falso ideologico. Accusa che il suo difensore, avvocato Maurizio Conti, ha cercato di respingere, sostenendone la totale buona fede. «Il certificato di gravidanza, specie per quelle a rischio - ha detto il legale - deve essere rilasciato dal ginecologo e poi convalidato da una struttura pubblica. Ebbene, il mio cliente non ha fatto altro che cercare di agevolare la propria paziente: avendola visitata prima nel proprio studio, in libera professione, ma essendo lui anche dipendente di un’azienda sanitaria, le ha evitato di farsi altri 50 chilometri, il giorno dopo, adoperando direttamente un certificato pre-timbrato da se stesso. Se proprio vogliamo trovargli una colpa - la conclusione -, possiamo parlare di un’irregolarità di tipo amministrativo». Nel procedimento, che si riferisce a vicende avvenute tra l’ottobre 2007 e il marzo 2008, le parti offese erano rappresentate dalla Direzione provinciale del lavoro e dall’Inps di Udine, avendo la Sangiorgio beneficiato anche di un’indennità di maternità obbligatoria di complessivi 3 mila 439 euro.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto