I 95 anni del preside Angelo Luminoso “cultore” dei classici
Arrivò a Pordenone nel 1953 e da allora non l’ha più lasciata «Sì a scienza e progresso, ma non scordiamo Roma e Atene»

Compie oggi 95 anni il professor Angelo Luminoso, uomo di scuola e di cultura, premio San Marco. Nato a Licata – «bellissima città sul mare Mediterraneo africano, anticamente Mar di Berberia» – l’anno della marcia su Roma, a venti con la famiglia si trasferì a Palermo, dove abitò sino al 1948 e dove conseguì la laurea in lettere classiche.
Oggi sarà festa con i due figli “pordenonesi”, Gianfranco e Maurizio, e Alberto, rimasto a Palermo e salito con la moglie e le figlie per l’occasione. Ci sarà anche l’omonimo Angelo Luminoso, «ma 77enne», cugino avvocato, professore emerito di diritto civile all’Università di Cagliari.
Professor Luminoso, come arrivò in Friuli?
«Il provveditore conferiva gli incarichi annuali di insegnamento. Avevo chiesto di insegnare in provincia di Udine perché al Nord c’erano più posti e quindi maggiori possibilità: non ero mai venuto prima. Mio padre Benedetto in Friuli aveva combattuto la prima guerra mondiale».
Ci fu la chiamata.
«Nel 1948 fui destinato a Tolmezzo dove feci il mio “noviziato scolastico”: liceo scientifico, sezione staccata del Marinelli di Udine. Nel 1950 passai alle medie di Spilimbergo. I miei ragazzi erano del 1939: li presi a 11 anni e li lasciai a 14. Adesso hanno 78 anni».
Mantiene ancora contatti?
«Sì, con due studentesse di Tolmezzo – hanno 83 anni – e con alcuni “ragazzi” di Spilimbergo: come Antonio De Carli, che ora abita a Pordenone, come Gerardo Ciriani».
Finito il triennio a Spilimbergo, l’arrivo a Pordenone.
«Assunsi per tre anni l’insegnamento di lettere al liceo scientifico di Pordenone, che ancora non si chiamava Grigoletti. Nel 1956 vinsi il concorso alla media Giovanni Antonio da Pordenone di cui nel 1965 divenni preside».
Quindi il salto negli istituti superiori.
«Rinunciai al ruolo negli istituti tecnici e nel 1974 vinsi il concorso di preside negli istituti superiori con destinazione Mattiussi di Pordenone, dal 1974 al 1977. Quell’anno passai al liceo classico dove rimasi sino al 1989, quando andai in pensione».
È stato insegnante o preside di generazioni di pordenonesi... Qualche nome?
«Tanti ragazzi che poi si sono affermati nella vita e mi fa piacere. Non voglio fare nomi, per non dimenticare qualcuno. Dico solo che tra i tanti c’è anche il capo della vostra redazione Antonio Bacci».
Sente Pordenone come sua città?
«Eh, sono qui dal 1953... è la mia città d’adozione. Pensi che le uniche scuole erano la media Monti, l’avviamento commerciale e il liceo scientifico. Poi, certo, quelle private cattoliche Don Bosco e Vendramini. Ho visto nascere il Kennedy, l’istituto per geometri era privato. In 41 anni di scuola sono stato preside per 23 anni in tre istituti. Qui ho vissuto gli anni del mio percorso scolastico – non la chiamo carriera, non mi piace –. A Pordenone peraltro ho fatto nascere la sezione dell’associazione italiana di cultura classica Atene Roma, l’ho diretta per trent’anni e nel 2015 l’ho lasciata in buone mani».
E adesso?
«Mi vesto di panni curiali e mi metto in relazione con gli antichi».
Cita Macchiavelli.
«Cerco di tenere i contatti con la cultura: leggo».
Tra web, tecnologie, 4.0 e via dicendo, ha ancora senso studiare i classici?
«Sì, è sempre utile perché la cultura occidentale è fondata sulla civiltà greca e romana. Non ci sono dubbi. Oggi si tende a sminuire il valore dei classici, perché scienza e tecnica sono imperanti, ma prive d’anima se non accompagnate da un concetto umanistico della vita. Non è che i classici sono in contrapposizione, ma danno vita alla tecnica e alle scienze. Noi viviamo, siamo dei nani che camminano sulle spalle dei giganti, che sono i classici. Senza nulla togliere al progresso».
A Pordenone ha trovato attenzione per il mondo della scuola?
«Molta attenzione. In quegli anni, ricordo, nacquero edifici come il Centro studi, il Kennedy, i geometri, poi il Mattiussi e il Grigoletti. Pensi che inaugurai io il Mattiussi nel 1974, vicino ai pompieri, in via Interna. Era l’anno della mia immissione in ruolo come preside. Lì ci sorprese il terremoto, nel 1976».
Studenti di ieri e di oggi?
«Mi dicono che oggi si insegna meno di allora, ma oggi i ragazzi sono distratti da tante cose. Musica, ginnastica, calcio, ballo... ma come si fa a fare tutto insieme? Certo, magari ci sono le eccezioni...».
E gli stranieri?
«Non ce n’erano, all’epoca. Credo che oggi le maggiori difficoltà le incontrino non quelli nati in Italia, bensì quelli che non conoscono la nostra lingua».
E la “buona scuola”?
Non ci sono dentro, non posso giudicarla. Da che mondo è mondo c’è sempre stata una parte buona e una meno. La scuola va avanti. Sicuramente ci sono molte manifestazioni di vitalità culturale».
Telefonino in classe?
«Spento».
E lei, usa pc e cellulare?
«Internet è utile, per fare molte ricerche. Grazie a questo ho conosciuto molte cose, molte persone, molte carriere».
Il rapporto tra genitori e insegnanti?
«Credo che il peggior periodo sia passato. Oltre dieci anni fa ci furono pesanti contestazioni».
Fa progetti?
«A 95 anni?».
Sì.
«Vivo la giornata, ma non c’è tempo che mi basti e sicuramente non lo spreco».
Ha mai pensato di impegnarsi in politica?
«Mai. L’impegno scolastico ho ritenuto che fosse per me il più nobile che potessi avere. Tante cose insieme non si possono fare. Se uno vuole fare bene una cosa, non ne può fare un’altra. E poi, mi sentivo ideologicamente libero di fare il mio mestiere. Credo possa essere confermato da chi ha lavorato con me».
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