I carabinieri scoprono a Punta Sdobba il relitto di un pontone della Grande guerra

L’operazione del Nucleo per la Tutela del Patrimonio culturale di Udine fra Grado e la foce dell’Isonzo  
Pietro Spirito

il reportage



A Punta Sdobba, nelle acque torbide e limacciose del canale Isonzato, all’incrocio con l’Isonzo, là dove il fiume va a morire nelle acque dell’Adriatico, i resti del pontone armato della prima Guerra mondiale compaiono d’improvviso come un muro alto due metri di metallo arrugginito. I carabinieri del Nucleo Subacquei di Genova, alla luce delle torce nonostante la bassa profondità, esplorano ciò che un secolo fa era – come stabilirà più tardi il rilievo tecnico-subacqueo della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia - un barcone in lamiera lungo diciotto metri, largo sei, quasi certamente autoaffondato di traverso al canale nelle concitate fasi della fuga degli italiani da Grado dopo la disfatta di Caporetto, per creare ostacolo al nemico in arrivo. Non è l’unica testimonianza di quei lontani eventi. A pochi metri dall’acqua, sulla terraferma, i ruderi di una postazione in cemento costruita su un antico fortino napoleonico, e ora inghiottiti da una folta vegetazione, ricordano che questo era il punto estremo della prima linea italiana fino alla caduta di Caporetto nel novembre del 1917. Appena superato l’estuario, i resti di un Mas adagiati a pochi metri di profondità (obiettivo di un’altra ricognizione dei carabinieri subacquei), sono un’ulteriore testimonianza dei combattimenti fra le truppe italiane e quelle austroungariche, arroccate sull’imprendibile Monte Hermada. Siamo praticamente dentro la riserva naturale dell’Isola della Cona, ed è difficile immaginare come, dove adesso pascolano i bianchi cavalli Camargue, si posano gli aironi e i fenicotteri rosa mentre i cigni sfilano maestosi tra i canneti, un secolo fa ogni giorno fosse un inferno di bombardamenti, scaramucce, agguati. I resti sommersi del grande barcone in metallo riportano a quei lontani giorni di guerra, e aggiungono un nuovo tassello alle testimonianze storiche del sanguinoso conflitto in questa parte della regione. La loro scoperta è il frutto di una vasta operazione di monitoraggio organizzata dai carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Udine in collaborazione con il Nucleo Carabinieri Subacquei di Genova. Per tre giorni, a bordo della motovedetta della Stazione carabinieri di Grado, guidati dal comandante del Nucleo Tutela Patrimonio, il maggiore Lorenzo Pella, i carabinieri subacquei di Genova hanno battuto un’ ampia fetta di mare compresa fra Grado e Punta Sdobba, recuperando antichi reperti, monitorando relitti noti e scoprendone di nuovi. Su indicazione della Soprintendente Simonetta Bonomi, con la collaborazione sul campo dell’operatore subacqueo della Soprintendenza Francesco Dossola, i militari hanno esplorato il tratto lagunare attorno all’isola di Pampogna, e sono scesi sul relitto noto come Grado 2, la nave romana del Terzo secolo a. C., recuperando complessivamente sette resti di anfore, e diversi reperti ceramici, tutto materiale consegnato alla Soprintendenza . Infine i carabinieri hanno esplorato il relitto di Punta Sdobba, che era stato identificato con il Side Scan Sonar da un pescatore del luogo, Francesco Regolin, segnalato alla Soprintendenza ma mai esplorato. «Si tratta di un pontone della Regia Marina -spiega ancora Pella -, un grosso e robusto galleggiante usato durante la Grande guerra per azioni di appoggio e di fiancheggiamento sul basso Isonzo e sul basso Piave, realizzato nei primi del Novecento presso l’Arsenale di Venezia». «Questo tipo d’imbarcazione – aggiunge il comandante del Nucleo Tutela Patrimonio - veniva anche utilizzato per il trasporto fluviale/lagunare di uomini e materiali, nonché per garantire il rifornimento di munizioni alle batterie di medio-grosso calibro che da Punta Sdobba cannoneggiavano le postazioni nemiche sul Monte Hermada, principale baluardo della vicina linea difensiva austroungarica».

«Quasi certamente – conclude Pella - il pontone venne autoaffondato per ostacolare l’eventuale transito di imbarcazioni militari austro-ungariche a seguito della rotta di Caporetto dell’ottobre-novembre 1917. Di norma risultava armato di cannoni di piccolo e medio calibro ma, nel caso specifico, l’assenza di sagomature è riprova del fatto che prima dell’affondamento l’armamento di bordo è stato asportato per evitare che cadesse in mani nemiche». —



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