I falsi San Daniele: ecco come sostituivano i prosciutti

Depositate le motivazioni che hanno portato alla condanna di Sisto, Leonardo, Antonella Marini e altri quattro imputati

UDINE. «Ho una rogna sui disossati. Ma ad ogni modo me la caverò. Tu, quelle etichette che ti ho dato, dove sono andate a finire? Eh, perchè hanno marchiato... col marchio falso».

Quando Sisto Marini manifestò la propria preoccupazione a Emanuele Coppellotti, in una conversazione telefonica del 30 marzo 2012, non sospettava minimamente di essere “ascoltato” dagli inquirenti che, di lì a un paio di mesi, gli avrebbero perquisito l’azienda. Nè che quella e tante altre intercettazioni sarebbero diventate uno dei pilastri accusatori dell’inchiesta sui falsi prosciutti di San Daniele coordinata dalla Procura di Udine e conclusa il 30 marzo scorso con le condanne inflitte in primo grado a sette dei nove imputati.

«Dal dibattimento – scrive il giudice monocratico Roberto Pecile, nelle motivazioni della sentenza – è emersa la gravità delle condotte degli imputati e, in particolare di Sisto, Leonardo e Antonella Marini (nei rispettivi ruoli di presidente, ex vicepresidente e amministratore di fatto della “Marini salumi srl” di San Daniele, ndr), che con pervicacia e per un lungo periodo di tempo, manifestando una caratura criminale non trascurabile, si sono appropriati di prodotti di proprietà di terzi, a loro consegnati solo per le lavorazioni, e hanno consegnato ai committenti prodotti di qualità del tutto diversa, causando danni senza dubbio rilevanti, che dovranno essere quantificati dinnanzi al giudice civile».

Confermato il teorema dei pm Andrea Gondolo e Viviana Del Tedesco, che avevano parlato di «prosciutti con marchio Dop, ma infarciti di nitrati», il tribunale ha quindi riconosciuto risarcimenti a tutte le parti civili (che avevano quantificato il danno in una somma complessiva di circa mezzo milione di euro): i Consorzi prosciutti San Daniele e Parma, le aziende “Testa&Molinaro” e “Selva Alimenti” e l’Istituto Nord Est Qualità, che nella vicenda si era costituito soltanto nei confronti dei Marini, prospettando invece «l’insussistenza di responsabilità dolosa» in capo a Claudio Querini ed Elena Presello, i suoi due ispettori rimasti coinvolti nell’inchiesta.

Tesi – quella sostenuta dal legale dell’Ineq, avvocato Roberto Mete, oltre che, nella successiva arringa, dalla collega Mavia Varutti, difensore degli ispettori -, che il giudice ha ritenuto di accogliere, pronunciando sentenza di assoluzione nei confronti di entrambi con la formula «perchè il fatto non costituisce reato». Quella che la pubblica accusa aveva prospettato come una «omessa vigilanza sulla corrispondenza tra il prodotto originale e quello trasformato» - erano stati loro a redigere i quattro rapporti di controllo sulla preparazione delle mattonelle - è stata piuttosto considerata dal giudice come una «negligenza».

Tanto più, alla luce delle testimonianze sentite a dibattimento: la prassi, anche in passato, non sarebbe stata quella di controlli «eseguiti in maniera puntuale».

Le condanne si riferiscono ai soli lotti di prosciutto sequestrati. La pena più alta, pari a due anni e otto mesi di reclusione e 1.200 euro di multa, è stata inflitta a Sisto Marini. A seguire i due anni e sei mesi e 900 euro di Leonardo e i due anni e due mesi e 800 euro di Antonella. Erano accusati di concorso in ricettazione, contraffazione, frode nell’esercizio del commercio aggravata, appropriazione indebita e truffa. Unica fattispecie, quest’ultima, che il giudice ha escluso.

È a loro che ignari produttori inviavano le cosce, affinchè fossero trasformate in mattonelle o disossate, ed è da loro che ripartivano, per essere consegnate a un’altra ditta addetta all’affettamento. Una volta incamerati, i prosciutti venivano sostituiti con pezzi di provenienza nazionale o straniera. A quel punto, gli originali scomparivano dai circuiti legali, mentre i loro cloni venivano marchiati con timbri a fuoco falsi e restituiti ai produttori nelle consuete confezioni per la vendita al dettaglio.

Gli investigatori – le indagini sono state condotte dall’Ispettorato centrale della tutela, qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), dalla Guardia di finanza di Udine e dai carabinieri del Nac di Parma – ne hanno riconosciuto una parte nei banchi frigo di supermercati campani e un’altra in provincia di Parma.

Qui, grazie alla mediazione di Riccardo Anselmi, la Marini inviava numerosi pezzi alla “Varsi sapori srl”, gestita da Emanuele Coppellotti, e di cui Monica Fiori era la procuratrice speciale. Il giudice li ha condannati tutti a due anni di reclusione e 600 euro di multa (pena detentiva sospesa con la condizionale). Condannata anche la ditta “Marini salumi” per gli illeciti amministrativi ascritti all’ente, con una sanzione di 120 quote (il cui importo è stato determinato in 300 euro).
 

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