I genitori di Aurora: chiediamo giustizia

Il caso della bimba morta in piscina a Premariacco. L’opposizione alla Procura: la bambina non morì per congestione e i gestori avevano l’obbligo di vigilare sulla sicurezza
San Mauro 10 Luglio 2011 annegamento Copyright PFp
San Mauro 10 Luglio 2011 annegamento Copyright PFp

PREMARIACCO. La piccola Aurora non morì per una congestione e chi doveva garantire sull’incolumità dei bagnanti nulla fece, invece, per tutelarne la sicurezza. È sulla base di questi due semplici dati - scientifico il primo, giuridicamente provato il secondo - che Valentino Maria Vulcano, padre della bambina di 6 anni annegata il 10 luglio 2011 nella piscina del club “W la” di San Mauro di Premariacco, ha deciso di opporsi all’istanza di archiviazione del procedimento presentata nei giorni scorsi al gip dal pm che aveva indagato sul caso.

Deluso, arrabbiato e ancora irrimediabilmente prostrato dalla perdita della figlia, il papà di Aurora non ha gradito le conclusioni del magistrato e ha ribadito anzi la ferma volontà di ottenere giustizia per una morte che, a suo parere, doveva e poteva essere evitata. La parola, ora, passa al gip Paolo Lauteri: sarà lui, al termine dell’udienza fissata per il 21 marzo, a decidere se accogliere la richiesta della Procura e “scagionare” quindi le sei persone finite sotto indagine, o se mantenere il fascicolo aperto e disporre ulteriori accertamenti.

La causa del decesso. «Nella consulenza tecnica assegnata dall’accusa non si parla mai di congestione, nè di pranzo abbondante, bensì di annegamento». Comincia da qui l’opposizione presentata dall’avvocato Giuseppe Campeis, difensore di Vulcano, al tribunale. A risultare diversi sono anche i termini temporali. «I tempi di annegamento sono indicati in 3-4 minuti e non in 2-3, come scritto dal pm, e il pranzo era avvenuto alle 12.30 e non alle 13.30».

Una piscina per tutti. L’altro punto chiave, per la difesa, è rappresentato dalla natura dell’impianto. «La piscina è stata furbescamente enunciata come privata, accessoria a privata abitazione, al fine di aggirare il sistema autorizzativo e di gabbare poi il fisco. Fin dall’inizio, invece, il suo utilizzo è stato pubblico». Ricadendo nella categoria delle “piscine a uso collettivo”, la struttura prevede dunque «la presenza di assistenti bagnanti a bordo vasca in modo continuativo durante tutto l’orario di funzionamento». A mancare, a parere della difesa, è anche ogni autorizzazione di agibilità, licenza e parere del Comune, dell’Ass, della Commissione vigilanza e del Coni.

Bagnino obbligatorio. Quanto ai presunti profili di colpa dei gestori della “W la”, la difesa si limita a rispolverare un pronunciamento del 2008 della Cassazione. «Il legale rappresentante della società che gestisce un complesso turistico in cui è presente una piscina è titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità dei suoi utilizzatori e pertanto risponde del reato di omicidio colposo nel caso di annegamento di un minore a causa della non predisposizione di un presidio di salvataggio continuativo durante il suo funzionamento». Salvo infine osservare come «i presidi antinfortunistici adottati ben un anno dopo bastino a corroborare il carattere dell’esigibilità per una tipologia d’infortunio tipico e prevedibile in relazione all’attività sportiva e ricreativa svolta».

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