I genitori di Penelope, la bimba morta sotto il peso di un’acquasantiera: «Da due anni tutto tace, chiediamo giustizia»

Giacomina Pellizzari

UDINE. Il silenzio fa male. Soprattutto se ad attendere una risposta dalla Giustizia sono due genitori, Laura Libanetti e Marino Cossaro, che a due anni e mezzo dalla perdita della loro unica figlia, Penelope Cossaro, 7 anni, non conoscono ancora le ragioni per cui l’acquasantiera della chiesa di Santa Chiara, il 22 novembre 2019, è finita addosso a Penelope.

In quella chiesa Penelope era stata accompagnata, assieme ai compagni di scuola, dal direttore spirituale, padre Ioan Marginean Cocis, per un’attività extrascolastica. In segno di rispetto, la bambina pose la manina nell’acquasantiera e venne travolta dal blocco di marmo.

Oggi nel registro degli indagati sono iscritte due persone, padre Ioan e Anna Maria Zilli, la preside dell’istituto Uccellis, la scuola di Penelope.

Le indagini sono in corso: «Solo lo scorso marzo è stata depositata la perizia tecnica iniziata a novembre 2020 e non siamo a conoscenza di ulteriori sviluppi». Laura e Marino non accusano e non vogliono sostituirsi a nessuno, chiedono solo di poter chiudere il cerchio per elaborare il lutto.

«Nel rispetto di due genitori addolorati i tempi della giustizia andrebbero accelerati, la nostra vita è ferma a quel terribile giorno, sapere cosa è accaduto ci aiuterebbe ad andare avanti».

È un appello accorato quello dei genitori di Penelope, Laura e Marino si arrampicano disperatamente alla forza della vita per cercare di andare avanti. Nella casa di via Castions di Strada tutto parla di Penelope.

Le fotografie appese alle pareti, i disegni della mamma, del papà e del cagnolino Noce. Gli occhi di Laura sono gonfi di lacrime e il profilo di Marino è segnato dal dolore.

A due anni e mezzo dalla tragedia a che punto siamo?

«Le indagini sono in corso, la perizia tecnica è stata chiusa e depositata da poco, ma è durata quasi un anno e mezzo. Stiamo aspettando.

Questi sono i tempi della Giustizia, sinceramente crediamo che, nel rispetto di due genitori, dovrebbero subire un’accelerazione. Siamo consapevoli dei carichi di lavoro degli Uffici ma per noi è nostra figlia, una bambina che non c’è più».

Come sono stati questi anni per voi?

«La nostra vita è rovinata e oggi è ancora ferma lì, non si può muovere da lì»

Non riuscite a pensare a Penelope in un altro luogo?

«Fino a quando il cerchio giudiziario resta aperto noi ricordiamo Penelope nel momento più tragico, non riusciamo a rivivere i momenti belli che abbiamo trascorso con lei».

Sapere se c’è o meno un responsabile vi aiuterebbe ad andare avanti?

«A prescindere dalle persone iscritte nel registro degli indagati, per noi chiudere il cerchio giudiziario è una priorità per cercare di andare avanti e rivivere i ricordi belli che conserviamo di nostra figlia. Questo silenzio ci costringe a pensarla sempre e solo in quella terribile giornata».

Tutto questo vi fa male?

«La cosa che non riusciamo a tollerare è il silenzio. Non lo tolleriamo perché il silenzio fa passare il messaggio che sia stata una fatalità».

Non è così?

«È palese che non si è trattato di una fatalità. Oggi sentiamo la necessità di dirlo. La Giustizia farà il suo corso, ma è assolutamente evidente che una bambina di sette anni e mezzo non poteva tirar giù un’acquasantiera di marmo che pesa diversi quintali. Alla base ci sono delle responsabilità».

Per voi è importante sapere cosa è accaduto anche se nessuno potrà mai restituirvi Penelope?

«Nessuno ci ridarà Penelope questo è ovvio. Per noi è importante che venga fatta giustizia in tempi ragionevoli, lo dobbiamo a nostra figlia».

Quanto vi manca Penelope?

«Era tutta la nostra vita».

Cosa vi infastidisce di più?

«Sentir parlare di sicurezza nelle scuole quando nostra figlia è morta per l’assenza di sicurezza. La Chiesa in cui è avvenuta la tragedia ha la valenza di un classe scolastica».

Siete rimasti in contatto con la scuola?

«La scuola come istituzione non ci ha mai contattato, mentre abbiamo sentito fin da subito la vicinanza di padre Ioan».

Vi siete rivolti anche al Capo dello Stato?

«Quando abbiamo saputo che il Presidente Mattarella aveva programmato la visita a Udine, d’istinto abbiamo telefonato al Quirinale. Con tutto rispetto per quello che è successo allo studente del Bearzi, credevamo che la morte di Penelope potesse essere contestualizzata allo stesso modo».

Dal Quirinale cosa vi hanno risposto?

«Ci hanno consigliato di scrivere al Presidente, cosa che abbiamo fatto perché riteniamo che, prima di tutto, sia necessario rendere sicure le scuole».

Secondo voi andrebbe fatto qualcosa di più?

«Quello che è accaduto a nostra figlia non ha dato la spinta che avrebbe dovuto dare».

Quanto siete arrabbiati?

«Siamo arrabbiati con il mondo. Stiamo facendo percorsi psicologici e queste lungaggini limitano la nostra elaborazione del lutto. Un briciolo di umanità sarebbe doverosa».

La raccolta fondi in nome di Penelope è ancora aperta?

«Si, il ricavato andrà all’associazione “La Nostra Famiglia” per l’acquisto di strumenti oftalmici».

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