I kit per i tamponi sono introvabili: il laboratorio di Udine scopre un metodo che taglia i costi e raddoppia l’attività

In una notte, quando la carenza del materiale per analizzare i tamponi e stabilire la positività al coronavirus, stava mettendo a dura prova anche il laboratorio unico dell’Azienda sanitaria universitaria Santa Maria della Misericordia, la biologa molecolare, Stefania Marzinotto, di Aiello del Friuli, ha messo a punto un metodo che non si basa più sull’utilizzo dei kit diventati introvabili. È un metodo che taglia i costi e soprattutto i tempi di risposta: in un giorno la capacità di analisi del laboratorio è passata da una media di 750 a 1.600 test.
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«A lei va il merito di aver messo insieme i pezzi per arrivare alla scoperta, grazie alla quale non avremo mai più problemi di carenza di reagenti per l’estrazione del Rna dai campioni biologici». Il direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio, Francesaco Curcio, rende merito della scoperta alla biologa e a tutta la squadra del laboratorio unico dell’Azienda sanitaria universitaria di Udine coordinata anche dai responsabili della Virologia e della Microbiologia, Corrado Pipan e Assunta Sartor. Tutti hanno dato il massimo per risolvere un problema che non solo nella nostra regione rischiava di rallentare l’attività del laboratorio operativo sette giorni su sette, nelle 24 ore.
«Erano ormai giorni che stavamo soffrendo la carenza di materiali per fare le analisi molecolari per i tamponi del Covid-19 – racconta Curcio –, ma come spesso succede è nei momenti difficili che accadono cose straordinarie». In quella notte, infatti, quando la tensione del lavoro è calata e le persone hanno trovato il tempo per pensare, l’esperienza unita a una serie di eventi solo apparentemente scollegati hanno dato il meglio. Tutti hanno letto l’articolo pubblicato da un giornale danese segnalato dal figlio di uno di loro che lavora in quel Paese e pure l’articolo scientifico in pre pubblicazione, tutti hanno fatto tesoro «dello stimolo giusto arrivato da un eminente collega».
Ma nulla sarebbe potuto accadere senza l’esperienza maturata prima dell’avvento dei kit e senza le prove, una di seguito all’altra, eseguite dalla squadra per creare tante tessere messe assieme dalla biologa che oggi afferma: «Con un po’ di buona volontà è stato semplice». Il nuovo metodo, sottolinea sempre Curcio, «ci consente di sequenziare direttamente il materiale senza usare il kit. Il materiale che viene raccolto con il tampone deve essere processato, dobbiamo verificare la presenza di alcuni geni tipici del virus. La fase che precede l’analisi della sequenza che ci dice se c’è il virus o no, si chiama estrazione del Rna. In questa fase usiamo il kit sostituito ora dal nuovo metodo».
La scoperta è destinata a non passare inosservata. La biologa se ne rende conto anche se con molta modestia spiega che il nuovo sistema «consiste nel trattare il campione con metodi fisici, come il cambio repentino di temperatura, in presenza di enzimi litici e di blandi detergenti». Una cosa è certa: il metodo non solo funziona, ma viene già richiesto da altre realtà che come quella di Udine fatica a trovare i kit sul mercato.
«Siamo stati contattati dai laboratori con cui collaboriamo e che, come noi, ogni giorno fanno i conti con un numero elevatissimo di tamponi da processare e con la mancanza di kit per l’estrazione del Rna». Marzinotto insiste a dire che è un risultato di squadra, di un gruppo compatto che da quando è iniziata l’emergenza lavora senza interruzione 24 ore al giorno. Una squadra che ha alle spalle anni di esperienza, la stessa che in poco tempo ha consentito di concretizzare l’idea. «È un bellissimo esempio – conclude Curcio – di come la collaborazione tra le competenze di ricerca, assistenziali, accademiche e ospedalieri consente di ottenere risultati importanti».
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