I marchi della moda innamorati delle calzature made in Friuli
Da Burberry a Bottega Veneta sono i clienti vip delle Creazioni Fratta di San Daniele

SAN DANIELE. Prima che per i prosciutti, San Daniele del Friuli era conosciuta per le sue pantofole. Le realizzava una fitta trama di botteghe – alcune vere e proprie fabbriche – cresciuta all’indomani della Seconda Guerra mondiale avendo trovato in città terreno fertile al punto da farne un riferimento nel settore. Non solo locale. Di quell’epoca oggi resta poco. Sarà per via dell’ingombrante quanto squisita fettina rosa o perché le pantofole vengono ormai prodotte a poco prezzo nei Paesi dell’Est. Fatto sta che per i giovani il nome Zappas non rimanda a nulla. Eppure, negli anni che furono, la Zappas dava lavoro a 100 persone ed era conosciuta ben oltre i confini del Friuli per le sue pantofole. Nel 2000 è stata chiusa come altre botteghe. Tante, non tutte.
Qualcuno che ancora cuce insieme suole e tessuti a San Daniele infatti c’è ancora. Lavora al riparo da sguardi indiscreti, nel mezzo della zona artigianale. Si chiama Luigi Andriolo (nella foto) e dal 1983 guida le Creazioni Fratta. Girando in via Savorgnan, nell’area artigianale di San Daniele, l’azienda sembra una delle tante. Ordinata, non appariscente. «Mi sono appena trasferito, c’è ancora tanto da fare» svela il titolare. È, la sua, una mezza verità. L’altra metà ha infatti a che fare con l’inclinazione tutta friulana a non esibire, con la dedizione al lavoro piuttosto che alla pubblicità e ancora con un portafoglio ordini che negli anni bui della crisi non ha conosciuto contraccolpi.
Andriolo produce principalmente stafets. Le modeste scarpe della tradizione friulana. «Suola di gomma riciclabile (un tempo di bicicletta), tomaia di velluto, cucitura a mano, niente colla» spiega schietto. In azienda lavorano lui e la sorella Marida, più due dipendenti. Gli orari sono flessibili. Se ci sono ordini si va avanti. Possibile tanto lavoro producendo scarpe che indossavano le nonne qualche generazione fa? Domanda lecita. Qualcosa, da allora, in effetti è cambiato. In via Savorgnan la scarpa povera della nostra tradizione, quella per intenderci di velluto scuro con il fiorellino ricamato sul davanti, ha lasciato spazio nel tempo ai modelli dell’alta moda che lo scarpet l’hanno scoperto e riletto affidandosi proprio alle cure di Andriolo. Da lui sono passati “tutti”. Il primo? «Negli anni ’80 Bottega Veneta. Vennero da me e mi chiesero di far loro una versione della friulana. Tutto è cominciato così». Ed è proseguito autoalimentandosi. «Non ho mai cercato io la moda, sono stati gli stilisti a chiamare qui». Il canovaccio si è ripetuto negli anni: il telefono dell’ufficio squilla, Andriolo alza la cornetta e riceve da Roma, Milano, Firenze un nuovo ordine. Fino a Londra. «Ho lavorato per Burberry, per Salvatore Ferragamo e per diversi altri» dice appena prima di interrompersi, in ossequio a contratti blindatissimi che gli impongono massima riservatezza. Basti questo: molti dei grandi stilisti che nelle ultime stagioni le hanno portate in passerella, le friulane sono venuti a produrle qui, in Friuli, a San Daniele. Dando sfogo alla propria creatività.
Andriolo, formato alla Riviera del Brenta, la scuola di calzaturieri più famosa al mondo, non ha fatto fatica a stare al passo. Richieste strane nel tempo ne ha ricevute. «Ho prodotto per una nota casa di moda l’infradito con il pelo», ricorda divertito. Oggi non farebbe scalpore: le ciabatte peluche vanno per la maggiore, ma la sua è di diverse stagioni fa. Un azzardo assoluto, indimenticabile. Andriolo però non lavora solo per loro. Artefice di una
nouvelle vague
degli stafets, li produce anche per sé e per diverse aziende più o meno locali. Venete o friulane che siano. «Il 50 per cento della produzione è in conto terzi, il resto finisce sul mercato con il marchio Creazioni Fratta» racconta ancora l’imprenditore mostrandoci uno dei tanti esemplari di lavorazione friulana esposti nel suo ufficio. In lontananza si sente il ticchettio della macchina da cucire. Nota l’interesse e si affretta a precisare: «Salvo la suola, ogni altra cucitura è realizzata a mano. Per fare una scarpa – svela Andriolo – ci vuole circa un’ora e mezza di lavoro». Ancora artigianale al massimo. Come il miglior made in Italy.
(m.d.c.)
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto
Leggi anche
Video