I noduli alla tiroide non fanno più paura

Colpiscono una persona su tre ma nel 95 per cento dei casi sono benigni. Intervista all’endocrinologo dell’ospedale di Udine Franco Grimaldi

UDINE. A volte si scoprono in modo casuale. L’individuazione di noduli tiroidei non palpabili nella popolazione generale sta aumentando progressivamente. È la conseguenza dell’uso sempre più diffuso della valutazione ecografica della regione cervicale o del doppler dei vasi del collo che permettono una diagnosi efficace e tempestiva.

A spiegare quali sono i rischi e quali le cure per una patologia molto diffusa è il dottor Franco Grimaldi, direttore all’Endocrinologia e Malattie del metabolismo - Nutrizione clinica dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine.

Qual è l’incidenza dei noduli tiroidei?

«La diffusione di noduli tiroidei nella popolazione italiana è del 30-40%. Nel 95% dei casi si tratta di noduli benigni che si formano a causa della crescita esuberante di una porzione della tiroide. Si può percepire come nodulo che può essere di natura cistica, dovuto alla raccolta di un materiale fluido (colloide), prodotto normalmente dalla tiroide. I tumori maligni rappresentano il 5 per cento dei casi: nella maggior parte dei casi (circa 80%) si tratta di carcinomi papillari che hanno aggressività moderata e sono curabili in modo efficace. Altri tipi di tumori tiroidei comprendono il carcinoma follicolare, raramente il midollare e, molto di rado, l’anaplastico».

Quali sono i sintomi?

«Se il nodulo è di grosse dimensioni si può notare una massa palpabile a livello della tiroide. Nella maggior parte dei casi i noduli tiroidei non danno sintomi, ma in alcune circostanze possono dare disturbi conseguenti a fenomeni compressivi locali come sensazione di nodo in gola, difficoltà di deglutizione e voce rauca. Nei rari casi di noduli iperfunzionanti si possono notare sintomi indicativi di un’eccessiva secrezione ormonale: tachicardia, nervosismo, dimagrimento. In queste circostanze l’esecuzione di una scintigrafia tiroidea che permette di individuare un’area della tiroide eccessivamente attiva».

Come si individua la natura di un nodulo alla tiroide?

«La semplice palpazione, nel caso di noduli che superano il centimetro, offre informazioni utili. Per esempio una formazione che risulti morbida, con confini ben definiti, che si muova con la deglutizione e non si associ a linfonodi locali ingrossati, è probabilmente benigna. Un nodulo fisso e duro accompagnato da linfonodi del collo ingrossati è più sospetto. Il passo successivo è eseguire un’ecografia del collo per osservare la struttura e le caratteristiche. I noduli cistici a contenuto liquido sono quasi sempre benigni, così come i noduli che hanno le stesse caratteristiche del tessuto tiroideo. Segni ecografici di possibile malignità sono il riscontro di microcalcificazioni e la crescita irregolare, con bordi del nodulo frastagliati e vascolarizzazione aumentata. Se persistono dubbi si ricorre all’agoaspirato tiroide ecoguidato: si prelevano alcune cellule della tiroide con un ago sottile e si osservano al microscopio. In rari casi, anche dopo questo esame, rimangono delle incertezze, che oggi si possono in parte superare ricorrendo a indagini molecolari».

Come si trattano i noduli benigni?

«In caso di formazioni benigne è sufficiente un monitoraggio periodico (ogni 18 mesi) con l’ecografia tiroidea. Durante il follow up, in caso di incremento volumetrico significativo del nodulo, di modifiche ecografiche sospette o di alterazioni laboratoristiche di rilievo, sarà indicato ripetere una visita endocrinologica».

Quando va tolto un nodulo?

«La decisione di ricorrere al bisturi si basa sulla natura e sulle dimensioni del nodulo. Se tutti gli esami indicano che è benigno e se non dà disturbi meccanici, il nodulo non va asportato: sono sufficienti controlli ecografici periodici. I noduli maligni vanno invece sempre rimossi chirurgicamente ricorrendo all’asportazione totale della ghiandola (tiroidectomia totale) o solo di una parte del tessuto ghiandolare (emitiroidectomia). A volte dopo l’intervento può essere opportuna una terapia con iodio radioattivo per eliminare eventuali residui di cellule tumorali. La guarigione completa si ottiene in più del 90 per cento dei casi. Se la tiroide è rimossa integralmente, va instaurato un trattamento ormonale sostitutivo con levo-tiroxina, un ormone fondamentale per la regolazione del metabolismo e il mantenimento dello stato di benessere. È necessario che il trattamento sostitutivo, da assumere per tutta la vita, sia ben calibrato in modo da ottenere normali valori degli ormoni tiroidei nel sangue e, in particolare, del Tsh (ormone tireotropo)».

Nella vostra Soc vi interessate solo di tiroide?

«La Struttura operativa complessa è divisa in tre settori: Endocrinologia, Diabetologia e Nutrizione clinica. Le eccellenze dell’Endocrinologia riguardano i Tumori neuroendocrini, l’Oncologia tiroidea e la Patologia ipofisaria infine l’Osteoporosi e le Malattie metaboliche dell’osso. Diabetologia è da 40 anni un Centro di riferimento per la diagnosi, la prevenzione e la terapia del diabete mellito, riconosciuta a livello nazionale con una intensa attività che vede la collaborazione tra medici, infermieri e dietiste, per un approccio innovativo, volto alla terapia medica, educazione e all’autocontrollo del diabete. Infine la Nutrizione clinica: nove dietiste seguono, con la collaborazione del medico nutrizionista, le problematiche inerenti la nutrizione artificiale, che rappresenta la terapia di elezione per la malnutrizione proteico-energetica secondaria ad uno stato di malattia (acuta o cronica) e ne costituisce anche un efficace trattamento preventivo».

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