I primi sintomi sono simili all’influenza

UDINE. «Per essere possibile è possibile, in quanto la via inalatoria è comunque una via di intossicazione, ma lo ritengo molto, molto improbabile».
Far risalire con certezza i decessi della 62enne Patrizia Del Zotto e del padre Giovanni Battista a un avvelenamento da tallio conseguente all’inalazione di escrementi di piccione è tecnicamente un azzardo per Stefano Brisinello, responsabile Igiene urbana Veterinaria dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine (Asuiud).
«Le concentrazioni di tallio riscontrabili nelle feci dei piccioni, e di conseguenza nell’aria nelle vicinanze, sono di norma tali da non riuscire a raggiungere livelli letali per l’uomo. Le feci, rinsecchendo, diventano polverose e la polvere può essere inalata, ma parliamo di parametri che per causare l’avvelenamento di una persona implicano un periodo di esposizione particolarmente prolungato.
Tre-quattro settimane possono anche essere sufficienti, ma raggiungere nello stesso periodo anche le concentrazioni del metallo pesante necessarie per causare l’intossicazione è un’eventualità molto difficile. Resta un solo dato certo: il tallio è stato trovato nell’uomo e nella figlia. Ma se fosse stato assorbito per via inalatoria da feci di piccione sarebbe il primo caso di cui ho conoscenza. Anche nella letteratura medica non ho trovato riscontri di casi analoghi, come non li ho trovati nell’esperienza di colleghi».
A lasciare molti dubbi è comunque anche il (presunto) periodo di incubazione, i giorni cioè intercorsi tra la presenza delle persone nella casa di Varmo (agosto) e il ricovero di Patrizia Del Zotto all’ospedale di Desio (Monza e Brianza), lo scorso 28 settembre: 30-40 giorni.
«La sintomatologia in questo caso compare dopo circa 10 giorni, ma i sintomi dell’avvelenamento da tallio, è bene precisarlo, sono alquanto subdoli, nella prima fase non sono patognomonici, ovvero caratteristici al punto da permettere una diagnosi certa: disturbi gastroenterici, malessere generale, mal di testa. All’inizio possono tranquillamente essere scambiati per una comune influenza.
Solo in una seconda fase i sintomi diventano più marcati: si parla di polineurite, viene cioè colpito il sistema nervoso. In fase avanzata subentra anche la alopecia, la perdita di capelli e peli. Ci vuole del tempo, ma i 30-40 giorni ipotizzati mi sembrano comunque tanti. Troppi».
Il tallio, prosegue Brisinello, «è un elemento ubiquitario, ovvero lo si trova un po’ ovunque nell’ambiente: nei terreni, nelle verdure che lo possono quindi assumere attraverso l’apparato radicale, anche nell’acqua da bere, persino in alcuni medicinali, ma sempre in quantità assolutamente non tossiche, che bisogna definire infinitesimali rispetto alla dose letale.
Tra le principali cause di rilascio nell’ambiente c’è l’industria siderurgica, si trova infatti nelle argille e nelle rocce soggette a riscaldamento industriale».
Il tallio è un veleno molto potente, tossico sia per inalazione che per ingestione. Una volta entrato nell’organismo è molto difficile da eliminare, si diffonde velocemente e la sua tossicità si incrementa in presenza di altre patologie. La sua presenza nei topicidi è invece solo un ricordo. «Nei topicidi non si usa più», conclude Brisinello. «Si usava nei prodotti della cosidetta prima generazione, più di vent’anni fa, oggi siamo alla terza generazione, che vieta prevede assolutamente il tallio».
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