I profughi cominciano a lasciare Udine
Un anno fa Udine ospitava oltre un migliaio di profughi. Ottocento solo nell’ex caserma Cavarzerani. Oggi i numeri sono di gran lunga inferiori: alla Cavarzerani non superano le 500 unità alle quali vanno aggiunti i 350 afghani e pachistani accolti nelle strutture del sistema Aura (Accoglienza Udine richiedenti asilo).
Due le ragioni del calo: il 90 per cento dei profughi riconosciuti tali dalla commissione territoriale di Gorizia, lascia il Friuli e l’Italia e i controlli alle frontiere stanno azzerando gli arrivi.
Tant’è che il Comune di Udine, a esclusione del caso dei rifugiati affetti da patologie gravi, non è alla ricerca di nuovi posti. Questo il quadro tracciato dall’assessore all’Inclusione sociale, Antonella Nonino, all’indomani della giornata del rifugiato. Proprio per quell’occasione la Caritas diocesana di Udine ha realizzato la pubblicazione “Richiedenti asilo e rifugiati dall’accoglienza all’integrazione” dalla quale emerge che, in questo momento in regione si contano 4.841 richiedenti asilo.
Ma andiamo con ordine. Da quando gli arrivi sono in calo i ragionamenti si orientano sui richiedenti asilo che, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, hanno due mesi di tempo per uscire dai sistemi di accoglienza a carico dello Stato. Pensare che tutte queste persone possano sistemarsi in Friuli non solo è improponibile ma anche irreale.
«Il 90 per cento dei rifugiati se ne va dal Friuli e dall’Italia», conferma Nonino lasciando intendere che in migliaia hanno già lasciato la nostra terra per andare a cercare lavoro in Germania o nel nord Europa. L’uscita dalle strutture di accoglienza dei profughi rischia di diventare l’anello debole del sistema dell’accoglienza statale.
E il fatto che il 90 per cento scelga di dirigersi altrove, sotto certi punti di vista, va bene a tutti. Chi resta non ha affatto vita facile. In due mesi difficilmente i profughi riescono a trovare un lavoro in grado di garantirgli uno stipendio che gli consenta di pagare l’affitto.
Stentano a trovarlo anche perché, molto spesso, sono persone che non sanno esprimersi correttamente in italiano e non hanno una sufficiente professionalità da vantare. Qualcuno si è riciclato nelle aziende agricole. Altri bivaccano nell’ex chiosco dei fiori di fronte al cimitero di San Vito. Non a caso l’assessore assicura: «Quell’area è costantemente monitorata dalle forze dell’ordine».
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