I Regeni: «L’ambasciatore resti in Italia»

Appello di mamma Paola e papà Claudio: l’Egitto sta cercando di far dimenticare con il tempo il caso di nostro figlio ammazzato
Una foto tratta dal profilo Facebook di Irene Regeni, mostra i genitori e la sorella di Giulio Regeni. +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++
Una foto tratta dal profilo Facebook di Irene Regeni, mostra i genitori e la sorella di Giulio Regeni. +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++

UDINE. L’appello arriva da mamma Paola e papà Claudio e verrà lanciato integralmente lunedì durante la prima puntata della nuova stagione di “Presa Diretta” – in onda su Rai 3 – in cui Riccardo Iacona ha realizzato una lunga intervista ai genitori di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito e assassinato al Cairo.

«È importante che il nuovo ambasciatore nominato dal Governo – hanno spiegato Paola e Claudio – resti in Italia e non vada in Egitto. Non dobbiamo fornire ad al-Sisi un’immagine distensiva perché in questo momento è importante tenere alto il livello di attenzione generale affinché le autorità del Cairo ci aiutino davvero, e finalmente, a trovare la verità».

Una verità che è ancora ben lontana dall’essere definita ufficialmente con le autorità egiziane che in questi mesi hanno dimostrato ben poca collaborazione. Anzi, dal Cairo si sono premurati soprattutto di coprire le tracce con depistaggi continui e ripetuti, versioni di comodo rifilate agli inquirenti romani che indagano sulla morte di Regeni e, in più di un’occasione, minacce di interrompere i rapporti economici in essere con l’Italia.

Sì, perché l’Egitto non è un Paese come gli altri per il Governo di Matteo Renzi. Il premier è uno dei principali alleati di al-Sisi in Europa e le aziende italiane – a partire dall’Eni – hanno in essere contratti economici per un valore di diversi miliardi di euro. Il rischio, quindi, è che cali il silenzio sul caso del ricercatore di Fiumicello in nome della più classica delle ragioni di Stato.

«Più passa il tempo – hanno continuato i genitori di Regeni – e più fattori si insinuano tra noi e la verità. Ormai siamo diventati quasi degli esperti sull’Egitto e abbiamo capito come, in quel Paese, ci siano tanti interessi occidentali».

Interessi di business, ma anche geopolitici visto come il regime di al-Sisi sia considerato, dalle cancellerie europee e da quella americana, come un baluardo anti-fondamentalisti e un alleato fedele dell’Occidente in uno degli scenari più delicati del mondo.

Ma anche se sono passati mesi dal ritrovamento del corpo senza vita di Giulio ai bordi dell’autostrada che dal Cairo porta ad Alessandria d’Egitto, i Regeni non mollano, nonostante quel timore di fondo che continua ad aleggiare dalle parti di Fiumicello.

«Noi abbiamo paura della diluizione del tempo – hanno concluso i due genitori –, che il caso di nostro figlio venga dimenticato. Così come vuole, e sta cercando di fare, il Governo egiziano, ma che speriamo non faccia il nostro. Per questo il nuovo ambasciatore non deve andare al Cairo. Il suo “sbarco” in Medio Oriente rappresenterebbe uno smacco e un segnale a favore delle bugie e delle menzogne, non di quella ricerca della verità che il nostro Paese e le nostre istituzioni hanno ha il dovere di continuare a pretendere con forza».

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