I weekend della Picchione nel mirino del pm

Si allarga l’indagine sulle pratiche bocciate dalla soprintendente. Sotto la lente le missioni a Roma e la permanenza a Udine

TRIESTE. Caso Picchione, si allarga l’inchiesta del pm Federico Frezza sulla soprintendente accusata di abuso d’ufficio per aver bloccato o rallentato irreparabilmente pratiche e autorizzazioni. Gli investigatori ora stanno puntando a ricostruire l’attività lavorativa dell’architetto che guida la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici. Stanno verificando – foglio per foglio – la documentazione relativa alle missioni fuori Trieste compiute dall’alta funzionaria dello Stato. Nei giorni scorsi, in occasione del blitz negli uffici di palazzo Economo che ha visto acquisita la documentazione relativa a sette pratiche bocciate da Picchione ma passate poi positivamente al vaglio dei giudici del Tar, che hanno annotato l’infondatezza dei dinieghi opposti alle autorizzazioni, gli agenti hanno anche interrogato come persone informate sui fatti alcuni impiegati di palazzo Economo. Scoprendo, per esempio, che nei mesi di dicembre, gennaio, febbraio e marzo scorsi l’architetto Maria Giulia Picchione ha lavorato nel suo ufficio di Trieste per appena 27 giornate. Mentre nella sede della Soprintendenza di Udine è rimasta per complessivi 30 giorni.

Ma gli investigatori stanno cercando di venire a capo anche della singolare questione delle cosiddette missioni a Roma. È emerso che la soprintendente si reca quasi ogni weekend in missione a Roma (la sua città di residenza) e quando torna a Trieste trova ad attenderla l’autista all’aeroporto. L’occasione dei viaggi a Roma sarebbe, in via ufficiale e formale, quella di partecipare a vari convegni nella capitale: missioni a tutti gli effetti, dunque, per le quali l’architetto Picchione ha diritto a vedersi rimborsare le spese e anche a godere dell’auto di servizio. Aspetti su cui gli investigatori vogliono però avere chiarezza totale.

Riguardo alla permanenza nella sede della Soprintendenza di Udine gli investigatori hanno scoperto che l’architetto Picchione, in quelle specifiche – ma numerose – circostanze pernotta all’hotel Astoria la cui fattura poi, secondo la Procura, finisce nella sua nota spese. Che in quanto responsabile dell’ufficio ovviamente Picchione autorizza personalmente. Va detto che un funzionario dello Stato come è Picchione non ha diritto a vedersi pagato un alloggio dallo Stato nel luogo in cui lavora: deve provvedere da sé, salvo che non sia in missione fuori dalla città in cui ha l’ufficio.

Per ora si tratta solo di presunte anomalie finite sotto la lente degli investigatori. Al momento l’architetto Maria Giulia Picchione non risulta indagata per episodi relativi a quelli che potrebbero essere definiti viaggi e trasferte forse stravaganti. Il suo nome – va ribadito – è iscritto nel registro degli indagati solo per l’ipotesi di abuso d’ufficio riferita esclusivamente alla questione dei dinieghi paesaggistici poi diventati oggetto delle sentenze del Tar. Certo è che il pm Frezza sta verificando, nell’ambito dell’inchiesta sulla paralisi delle autorizzazioni, anche queste singolari coincidenze: le missioni durante i weekend che a volte si sono prolungati fino ai primi giorni della settimana successiva o, in altre circostanze, sono iniziati già il giovedì; e poi le trasferte con l’autista e i pernottamenti a Udine.

Nelle scorse settimane il ministero dei Beni culturali era entrato direttamente nella questione dei dinieghi. Erano giunti a Trieste tre ispettori, un alto dirigente amministrativo e due architetti già soprintendenti. Gli “inviati” avevano interrogato tutti i rappresentanti delle istituzioni del territorio, oltre ai dipendenti della Soprintendenza. Infine avevano incontrato anche l’architetto Giangiacomo Martines, direttore regionale dei Beni culturali. Giorni dopo lo stesso Martines era stato interrogato come persona informata sui fatti dal pm Federico Frezza. L’inchiesta è stata avviata in silenzio lo scorso marzo. Il fascicolo è stato poi integrato da un corposo esposto a firma di Valerio Pontarolo, presidente regionale dell’Ance, presentato in gennaio alla Procura della Corte dei conti e poi trasmesso a quella ordinaria.

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