«Iaquinta voleva comprare la Reggiana»
Aemilia, la trattativa raccontata in aula dall’osservatore Manfredini: «Voleva il club per poi farlo allenare al figlio Vincenzo»
PROCESSO AEMILIA.CORTE FRANCESCO MARIA CARUSO
REGGIO EMILIA. Il mondo in chiaroscuro del calcio irrompe nel maxi processo Aemilia.
È avvenuto ieri mattina, attraverso due testimoni chiamati a deporre dall’avvocato Carlo Taormina che difende Giuseppe e Vincenzo Iaquinta.
Proprio il coinvolgimento calcistico di padre (imprenditore edile d’origine cutrese, considerato dalla Dda un affiliato del clan) e figlio (campione del mondo con gli azzurri nel 2006, accusato di detenzione illecita di armi) fa emergere le trattative portate avanti per l’acquisto, in alternativa, della Reggiana o del Mantova.
E in queste trattative hanno avuto un ruolo anche i due testimoni: il luzzarese 68enne Uber Manfredini (ex calciatore e allenatore, ora consulente tecnico in attesa di una chiamata) e il chirurgo romano 74enne Cesare Rotelli (per anni in contatto, in Germania, con un promotore finanziario – ora morto – legato a clienti disposti ad investire nel calcio italiano).
Manfredini non ricorda precisamente il periodo («Direi fra il 2010 e il 2012») ma dice chiaramente che conoscendo bene Iaquinta senior («Il primo a capire che il figlio sarebbe diventato un big») lo mise in contatto con Rotelli per l’acquisto della Reggiana: «La carriera di Vincenzo stava per finire e il padre Giuseppe – spiega in aula – era intenzionato a rilevare il club per poi dare la possibilità al figlio di allenare. Iaquinta voleva acquisire il 51 per cento della società granata e Rotelli con i suoi finanziatori l’avrebbe appoggiato economicamente. Consigliai così Giuseppe, perché far tutto da solo poteva essere un onere grosso. Li misi in contatto a Reggio con il presidente granata Alessandro Barilli, che conoscevo. Si era parlato di 2-300mila euro per avere il 51% della Reggiana». Cordata confermata anche dallo stesso Rotelli: «Uber mi presentò Iaquinta per l’acquisto della Reggiana che era in difficoltà. Barilli cercava dei nuovi investitori. Mi sembra che si trattasse di un investimento da un milione di euro».
Operazione che non andò a buon fine, come del resto nemmeno quella mirata a rilevare il Mantova: «Andammo a vedere lo stadio – prosegue Manfredini – Iaquinta parlò con il presidente di debiti e crediti. Giuseppe mi disse che costava meno il Mantova della Reggiana».
Rotelli chiese anche a Iaquinta se, come costruttore, aveva da vendere alberghi o centri commerciali: «I finanziatori legati al mio amico promotore finanziario – rimarca il chirurgo – erano interessati ad investire in quella tipologia di strutture. Iaquinta mi parlò di un albergo a Milano e uno a Venezia. Ma non se ne fece niente». Entrambi i testimoni – sollecitati dall’avvocato Taormina – hanno pure parlato dei contatti avuti con un professionista operativo in Svizzera su cui poi arriverà in udienza la rivelazione tranchant del pm Beatrice Ronchi: «Dal 2003 era stato radiato per truffa dall’Albo dei consulenti finanziari. Non lo sapevate?». Anche questa figura professionale di stanza a Lugano – secondo il racconto dei due testimoni – aleggiava sull’ambiente calcistico: chiese a Manfredini di portargli gente del calcio promettendogli una percentuale sull’affare e Uber con Giuseppe Iaquinta l’andarono a trovare in Svizzera dove videro che gli investimenti sarebbero avvenuti in lingotti d’oro come garanzia («Erano in una cassaforte, mai visti prima, li fotografammo»). In un secondo incontro svizzero sempre Iaquinta chiese un finanziamento per acquistare un immobile in centro a Milano: «Ma a Giuseppe vennero chieste garanzie che non era in grado di dare e la cosa finì lì».
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