Il boss Gerlandino Messina rinchiuso in cella a Tolmezzo
Nel supercarcere sono una ventina i detenuti con il regime del 41bis. Lo spietato killer è considerato il “numero due” di Cosa nostra

TOLMEZZO.
Gerlandino Messina, il boss agrigentino arrestato sabato scorso a Favara dai carabinieri, dopo quasi 12 anni di latitanza, è stato trasferito dal carcere Petrusa di Agrigento a quello di massima sicurezza di Tolmezzo. Il capomafia, condannato all'ergastolo per l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, nella casa circondariale friulana potrà scontare la pena, in regime di 41 bis.
Massimo lo schieramento di uomini e mezzi della polizia penitenziaria di Agrigento che hanno eseguito il trasferimento ieri mattina. Ricordiamo che nel supercarcere di Tolmezzo ci sono non meno di una ventina di detenuti appartenenti alla mafia che stanno scontando le loro pene con il regime del 41 bis. Gerlandino Messina, arrestato sabato scorso a Favara, era stato indicato come il nuovo capo provinciale di Cosa Nostra ad Agrigento. Una sorta di numero 2 del gotha mafioso, alle spalle del boss trapanese Matteo Messina Denaro, considerato l’erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Non a caso era inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi diffuso dal ministero dell’Interno, che adesso si è praticamente dimezzato.
Trentotto anni, arrestato lo scorso 23 ottobre a Favara dai carabinieri del Gis, Gerlandino Messina aveva scalato velocemente le gerarchie di Cosa Nostra, grazie anche a un pedigree di tutto rispetto. Appartiene infatti a una «famiglia» di Porto Empedocle che ha solide e robuste tradizioni mafiose. Il padre, Giuseppe, venne ucciso nel 1986 durante una faida con gli «stiddari» e anche lo zio Antonino ha fatto la stessa fine.
Gerlandino, nonostante il diminuitivo del suo nome molto diffuso ad Agrigento, è ritenuto un boss di prima grandezza e un killer spietato. Secondo i giudici avrebbe avuto un ruolo anche nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino poi sciolto nell’acido. Condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e vari omicidi, tra i quali quello del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, era latitante da undici anni. Dal 2001 le ricerche del boss si erano estese anche in campo internazionale.
A confermare il ruolo di primo piano ricoperto da Messina nell’organigramma mafioso era stato un altro capomafia agrigentino, Maurizio Di Gati, oggi pentito, che aveva parlato di un summit di mafia svoltosi nel 2003 tra Canicattì e Campobello di Licata. Nel corso di quella riunione il giovane Gerlandino, poco più che trentenne, sarebbe stato stato indicato dal boss Giuseppe Falsone come il suo «delfino».
I carabinieri lo hanno arrestato a Favara, dove già nel novembre dell’anno scorso la polizia aveva scoperto uno dei covi del superlatitante. In una palazzina nel centro del paese, nascosto all’interno di un garage, gli investigatori avevano individuato un bunker attrezzato con tutti i comfort. Appesa al muro anche una cartolina di Porto Empedocle e delle dediche per il 37º compleanno del boss. L’ultimo festeggiato in libertà.
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