Il calcio, la squalifica di Agnelli e i ricatti ultrà sottaciuti

I comportamenti del presidente della Juventus sono finiti sotto la lente della giustizia per la confessione circostanziata di  un ex dirigente bianconero. Ma è il Sistema calcio nel suo complesso che non sa porre fine a una serie di comportamenti che nella migliore delle ipotesi (per chi è già stato sanzionato) produrrebbero compagni di pena e non assoluzioni
Il presidente della Juventus Andrea Agnelli
Il presidente della Juventus Andrea Agnelli

Nessuno può sorridere o esultare per questa sentenza. Che siano 12 o 30, i mesi di inibizione per il presidente della Juventus Andrea Agnelli, il problema va ben oltre il credo di ogni tifoso e, soprattutto, colpisce al cuore un sistema calcio che balla da troppo tempo sulla zona grigia, sperando che il problema come al solito lo risolvano “da fuori”.

Lo sconto riduce la portata della pena ma non la sostanza. La procura aveva chiesto 30 mesi di inibizione, il giudice l’ha portata a 12 togliendo qualche sanzione accessoria. Ma il problema resta, insieme con la brutta figura per il Sistema calcio che non sa liberarsi dell’abbraccio mefitico con la parte peggiore del tifo. E non sa dire basta a un ricatto che suona più o meno così: «O mi fai fare ciò che voglio oppure ti scateno tanti di quei casini che non potrai mai uscirne». Inoltre non può valere il principio “tanti colpevoli, nessun colpevole”. Al massimo potranno esserci compagni di pena, non assoluzioni.

Quanto al contesto, non scordiamo che appena tre anni fa una finale di coppa Italia si è potuta disputare solo dopo che un capo ultrà con precedenti criminali, tale Genny ’a Carogna, ha trattato il via libera con le forze dell’ordine stando appollaiato su una barriera della curva esibendo una maglietta inneggiante all’assassino di un poliziotto. Il tutto sotto gli occhi di presidenti del Consiglio, Senato, Coni, Federcalcio e Lega calcio.

Bisogna partire da questo per contestualizzare comportamenti, quelli della Juventus e del proprio presidente, finiti sotto la lente della giustizia per la confessione (circostanziata) di un ex dirigente. Tutto ruota intorno all’articolo 12 del codice di giustizia sportiva: «Alle società è fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori...». Aver incontrato o non aver impedito che ci fossero incontri con capi ultrà con quelle intenzioni, di per sé basterebbe per censurare il comportamento di qualsiasi società. Aver garantito profitti extra con un bagarinaggio agevolato è poi aggravante non di poco conto.

Non siamo ancora di fronte a una sentenza definitiva e quindi Agnelli (e gli altri sanzionati) per ora sono da ritenere innocenti, così come non si può escludere che gli altri gradi di giudizio non aggravino le posizioni. Ma non si può ignorare che il presidente della Juve è stato proposto ed eletto (con una tempistica imbarazzante) alla presidenza dell’associazione dei club europei e che la sua candidatura è stata sostenuta da tutti i suoi colleghi italiani. Inoltre quella carica garantisce anche un posto nell’esecutivo Uefa. Due poltrone che non sono a rischio, anche nel caso in cui la squalifica fosse estesa all’estero, perché la Federcalcio potrà farlo solo se vorrà e a fine iter. E dunque siamo al paradosso che Agnelli non può rappresentare la Juve in Italia ma può fare il suo lavoro europeo.

Un’assurdità ben costruita dal Sistema calcio italiano, senza indugi. Impossibile non sapere, considerando da dove si era partiti. Dal verbale dell’ex direttore commerciale bianconero Francesco Calvo: «Il compromesso è questo: per garantire una partita sicura, cedevo sui biglietti, sapendo bene che facevano business». Non si poteva e non si doveva fare. Così come molto altro.

Possibile, se davvero esiste, che questo stato di ricatto perenne non sia mai stato denunciato? Quando nel 2007 il vice presidente del Milan Adriano Galliani finì sotto scorta per le minacce di frange ultrà legate alla criminalità organizzata, l’inchiesta partì da indagini per altri motivi. E quando nel 2012 i giocatori del Genoa andarono sotto la curva a scusarsi con gli ultrà consegnando le maglie nessuno battè ciglio. Ai capibastone del peggior tifo viene consentito tutto, anche di esibire striscioni carichi di bestialità come l’irrisione dei morti dell’Heysel o, come nello stadio della Juve nel periodo incriminato, scritte inneggianti allo schianto del Grande Torino.

Va detto. È tutto molto oltre il pensare che sia una banale questione di quieto vivere. Si chiama complicità: da reprimere, punire e, soprattutto, azzerare.

twitter: @s_tamburini

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