Il caso stadio "Friuli", dalla firma del contratto al recupero dei crediti
A colpi di raccomandate e di determinazioni, di riscossioni coattive e ricorsi al Tar. Sono più di due anni che i dirigenti di palazzo D’Aronco fanno e rifanno i conti sui crediti che l’ente avanza dall’Udinese calcio. Oltre un milione di euro.
E proprio su quel credito puntarono il dito alcuni assessori quando la giunta Honsell decise di raddoppiare la percentuale dal 10 al 20 per cento del contratto di sponsorizzazione che il Comune avrebbe dovuto incassare fino al 2020, con un minimo di 150 mila euro l’anno.
Quel contratto è finito nel dimenticatoio anche perché il dirigente, Giorgio Pilosio, ha negato alla società bianconera l’autorizzazione all’installazione delle insegne Dacia Arena sulle curve nord e sud del nuovo impianto. L’Udinese ha contestato il diniego, ma il Tar ha rigettato il ricorso. E ora la Spa è pronta ad appellarsi al Consiglio di Stato.
Anche se questa può sembrare un’altra storia rispetto al recupero dei crediti, di fatto evidenzia come i dirigenti abbiamo sempre usato prudenza nei confronti delle operazioni targate Udinese. Non a caso patron Pozzo definì, nel corso di una conferenza stampa, i dirigenti comunali «piazzisti» impegnati «a far risparmiare l’ente». Era marzo 2014 e i dirigenti di palazzo D’Aronco avevano già fatto recapitare alla società di viale Candolini l’ultimatum: versate i 90 mila euro d’imposta o parte l’avviso di riscossione.
Il botta e risposta tra Udinese e palazzo D’Aronco iniziò con la firma del contratto per la cessione del diritto di superficie, un atto sottoscritto dal sindaco e non dai dirigenti.
Era la primavera 2013. Circa un anno dopo scoppiò il caso degli affitti non pagati e il Comune annunciò l’intenzione di aprire la procedura di riscossione coattiva nei confronti della società bianconera per recuperare parte del canone riferito al periodo luglio 2010-marzo 2013, che l’Udinese doveva all’ente a prescindere dalla compensazione dei lavori eseguiti.
All’epoca si parlava di circa 35 mila euro, ovvero il 5 per cento applicato sul totale che superava gli 800 mila euro. Il Comune si limitò a procedere sul 5 per cento perché sulla differenza era in corso la trattativa sulla stima delle migliorie all’impianto realizzate prima dell’aggiudicazione del diritto di superficie. Su quest’ultimo punto la società bianconera non escluse un possibile ricorso al Tar. Una volta ricevuto il decreto ingiuntivo la società diffidò l’ente a procedere.
A difesa dei dirigenti si schierò l’allora portavoce del centrodestra in consiglio comunale, Adriano Ioan: «Sui mancati pagamenti dei canoni d’affitto e dell’Imu da parte dell’Udinese calcio - disse -, i consiglieri d’opposizione si attengono agli atti comunali e alle determine dei dirigenti di palazzo D’Aronco». Fu proprio il centrodestra a presentare gli esposti in Procura e alla Corte dei conti.
Seguì la convocazione della commissione Verifica del programma, presieduta dal grillino Paolo Perozzo, e in quella sede venne confermato che il credito nei confronti dell’Udinese superava 1 milione di euro. All’epoca palazzo D’Aronco stava valutando di recuperare la cifra attraverso l’escussione della fidejussione. Anche in quel contesto, Ioan invitò l’Udinese «a fare un passo indietro, non può permettersi - aggiunse - di contestare gli importi definendo piazzisti i dirigenti del Comune».
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