Il delitto nel 1988, lavorava come baby sitter

Annalaura Pedron venne trovata morta il 2 febbraio 1988 nell’appartamento al quarto piano di un condominio di via Colvera. La ragazza, quasi completamente nuda, giaceva supina su un piccolo tavolo: sul collo i segni bluastri dello strangolamento

PORDENONE. Annalaura Pedron venne trovata morta il 2 febbraio 1988 nell’appartamento al quarto piano di un condominio di via Colvera, a Pordenone, dove lavorava come baby sitter. A trovare il corpo ormai senza vita della giovane furono i vigili del fuoco che erano stati chiamati dalla madre del bambino, Marina Giorgi, che lo aveva sentito piangere, ma non era riuscita ad aprire la porta poiché la chiave era infilata dall’interno.

Il delitto. La ragazza, quasi completamente nuda, giaceva supina su un piccolo tavolo: sul collo i segni bluastri dello strangolamento. Si saprà in seguito che il killer, dopo averla aggredita con un nastro, l’aveva finita soffocandola con un cuscino. L’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Matteo Stuccilli e dal capo della squadra mobile Oreste Teti, si preannunciò complessa. Gli alibi di tutti i possibili indiziati vennero controllati e ricontrollati. Le indagini presero subito la strada della disciolta setta Telsen Sao, di cui Annalaura, nome astrale Eviana, era adepta da qualche tempo. Nei mesi successivi furono indagate alcune persone poi risultate estranee.

La svolta 19 anni dopo. Le indagini vennero riaperte nel 2007, su iniziativa dell’allora procuratore Luigi Delpino, grazie alla nuova tecnica investigativa del Dna. Il 12 maggio 2008 un giovane perito informatico venne raggiunto da un invito a presentarsi nella questura per «comunicazioni» che lo riguardavano. In questura erano stati convocati anche i familiari.

Uno come tanti. Sino a quel giorno era un pordenonese come tanti. Secondo le tesi investigative della Squadra mobile, David Rosset, allora 34 anni, contitolare di negozio di informatica in viale Grigoletti accanto alla caserma della Guardia di Finanza, avrebbe partecipato al delitto di Annalaura Pedron, quando aveva 14 anni e 10 mesi. Minorenne, insospettabile e mai sospettato. Conosceva Annalaura in quanto figlio di Gianfranco Rosset e Rosalinda Bizzo, i quali, assieme alla primogenita Deborah, erano adepti di Telsen Sao.

David Rosset stava trascorrendo un weekend a Verbania assieme ad amici quando venne raggiunto da un invito a presentarsi nella questura dove, già in mattinata, erano stati convocati i genitori e la sorella. Tutti e tre ascoltati per stabilire quanto sapessero della vicenda e che ruolo potessero eventualmente aver avuto all’epoca nell’occultare o tacere elementi determinanti alla soluzione del caso. David Rosset fu ascoltato dagli inquirenti per ore.

L’accusa era convinta di una tesi, la difesa negava con decisione qualsiasi tipo di coinvolgimento. Non si rassegnarono mai, gli inquirenti, a quel fascicolo irrisolto. Negli ultimi mesi di quell’anno i poliziotti della squadra mobile, guidati dal dirigente Massimo Olivotto e coordinati dai magistrati Luigi Delpino e Annita Sorti, perquisirono nuovamente abitazioni, passarono al setaccio prove e documenti, riascoltarono e confrontarono testimonianze.

A ritagliare attorno alla persona di David Rosset l’inaspettato ruolo di principale indagato sarebbe stato il sangue, all’epoca impossibile da catalogare, trovato sulla scena del crimine assieme a quello di Annalaura.

Processo, primo grado. «In conclusione va ritenuta comprovata la responsabilità dell’imputato in ordine all’omicidio di Annalaura Pedron ascrittogli». Il dibattimento (e i silenzi dell’imputato) non avevano dipanato molti dubbi, non ci poteva essere l’assoluzione piena, quindi andava dichiarata la prescrizione.

Dopo oltre un anno dalla sentenza, pronunciata il 25 giugno 2011, il tribunale dei minori di Trieste depositò il 9 luglio 2012 le motivazioni per le quali aveva dichiarato prescritto il processo a carico del pordenonese David Rosset, allora 39enne. Il processo aveva permesso di ricostruire la scena del delitto.

Al momento della morte la vittima era «sicuramente» vestita. «Provato» che i pantaloni le furono abbassati dopo, nell’ambito di una «messa in scena» per dare al delitto una connotazione a sfondo sessuale. Nel processo la prova madre fu quella del Dna. Individuato un unico profilo genetico completo, quello riferito «univocamente» all’imputato: la comparazione avvenne con la saliva prelevata il 9 novembre 2010.

«Si deve ritenere incontrovertibilmente provato che l’imputato si trovava nella casa di via Colvera nel momento in cui vi era stata uccisa Annalaura Pedron e vi aveva acceduto da solo». La sua responsabilità «è comprovata dalla presenza di plurime tracce di sangue». David Rosset aveva taciuto, al processo.

«È un suo diritto - spiegarono i giudici -. Anche sull’eventuale presenza sul luogo, insieme a lui, di altro o altri soggetti». Per i periti del collegio Rosset non era imputabile. I giudici, tuttavia, considerarono il contrario anche se mancavano «evidenze scientifiche che consentano di provarlo a vent’anni di distanza».

Il 2 febbraio 1988 «David aveva raggiunto uno sviluppo complessivo tale da consentirgli di scegliere se compiere o meno l’azione contestatagli». I giudici scissero la vita dell’imputato prima e dopo l’ingresso della famiglia nella setta. Fino a dieci anni David Rosset aveva avuto «un’esistenza normale».

Dopo, la situazione era mutata, «nella famiglia si era verificata una sorta di disgregazione dei ruoli delle figure parentali con la rinuncia della potestà genitoriale, delegata per intero al leader della setta». Atteggiamento che la corte ricalcava nelle conclusioni: «Comportamento genitoriale gravemente irresponsabile, considerati i danni a carico dei figli stessi sotto diversi profili e i rischi ai quali hanno accettato di esporli».

Il giovane, vista l’età, non era interessato alle ragazze più grandi della setta e per questo fu deriso. «L’imputato aveva subito una qualche violenza psicologica giacché l’esposizione di un preadolescente al pubblico ludibrio in materia di orientamento sessuale integra senza dubbio gli estremi di una violenza psicologica». E proprio in quel periodo «si registra il più negativo esito di profitto dell’intera carriera scolastica di Rosset». I giudici esclusero l’aggravante della violenza sessuale, dei futili motivi e del reato commesso ai fini di compierne un altro. Restava solo quella del mezzo insidioso.

Processo, secondo grado. Non più prescrizione, il 19 luglio 2013. Stavolta assoluzione. Per non imputabilità. Due anni dopo la sentenza di primo grado, che aveva prosciolto David Rosset per l’omicidio di Annalaura Pedron in quanto era trascorso troppo tempo dai fatti, la corte d’assise d’appello di Trieste riforma la decisione dei colleghi, decretando che allora, quel maledetto 2 febbraio 1988, Rosset era incapace di intendere e di volere e perciò non giudicabile.

Quindi da assolvere. In sostanza, i giudici hanno ritenuto fondamentale quella stessa perizia psichiatrica sull’inimputabilità dell’allora 14enne, cui la corte d’assise, in primo grado, aveva dato un peso relativo. Ora, un’altra svolta. Marzo 2016.

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