Il disegno della penna nera incisa sui monti del Sudafrica con la scritta: «Mandi fantat»

Il racconto dell’81enne Romano Nicoli, originario di Enemonzo

Romano Nicoli con la moglie Maria Teresa presenti all’Adunata
Romano Nicoli con la moglie Maria Teresa presenti all’Adunata

Un cappello di alpino tracciato con la vernice bianca sulla superficie scura della roccia di basalto. E sotto, la scritta: “Mandi fantat”. Quando l’ha vista, su una strada di montagna a oltre 10 mila chilometri di distanza da casa, il cuore di Romano Nicoli, 81enne originario di Enemonzo, ha saltato un battito. Il ricordo di quel momento, Romano, pronto a sfilare oggi all’Adunata, ce l’ha scolpito nella mente.

«Era il 1993, – racconta – come dipendente dell’Impregilo lavoravo in Lesotho, dove dovevamo realizzare la seconda diga più grande del continente africano. E, per raggiungere quel cantiere, un’impresa francese aveva realizzato una strada di montagna lunga una ventina di chilometri che attraversava due passi, il più alto dei quali raggiungeva quota 3.200 metri. Percorsi quella strada con un collega per effettuare un sopralluogo. Ero lontano da casa da tanto tempo e notai quella scritta. Quasi certamente l’aveva fatta un operaio friulano che lavorava alla diga con un’azienda francese».

Carnico doc, Romano Nicoli ha fatto l’alpino come ufficiale di complemento nel Battaglione Cividale a Chiusaforte. «Di quel periodo serbo bei ricordi – mi avevano affidato le salmerie, ed essendo un carnico figlio di contadino, conoscevo bene le strade e le malghe». Furono mesi intensi: quel cappello portato con onore e rispetto per il servizio militare Romano Nicoli lo ha esibito con orgoglio finché la sua carriera professionale lo ha portato in giro per il mondo. «Ho lavorato molto all’estero, ho cominciato facendo la gavetta – racconta –, avevo un diploma da maestro e ho cominciato come impiegato all’Impregilo, poi sono diventato dirigente amministrativo e finanziario seguendo numerosi cantieri». Un lavoro che lo portò fino in Ecuador per costruire un ponte. Fu lì che conobbe Maria Teresa e se la sposò. Lei lo ha seguito nei suoi numerosi spostamenti, così come lo segue in tutte le adunate alpine che, da quando è in pensione, Romano Nicoli non manca di seguire. Per anni i suoi continui impegni che lo portavano all’estero non glielo hanno permesso, ma una cosa tiene a ricordare: «In ogni cantiere cui ho lavorato, dove erano sempre presenti fra le maestranze numerosi operai, friulani e non, che avevano fatto gli alpini, in occasione delle Adunate in Italia organizzavamo la cerimonia dell’Alzabandiera e poi un lauto pranzo tutti assieme».

Ovunque andasse, dall’India alla Turchia, dall’Argentina all’Ecuador, fino al Sudafrica, l’apertura del cantiere affidato all’Impregilo che impegnava tanti italiani in trasferta, fra loro anche tanti friulani, richiamava corregionali all’estero e fra loro molti avevano la penna nera nel cuore, dopo averla portata sul cappello. «Da quando sono in pensione non mi perdo un’Adunata, assieme a mia moglie» assicura Romano, pronto a sfilare. —

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