Il Friuli patria incompiuta: appello alla volontà politica - Foto
LESTIZZA. Quella del Friuli è una patria perduta? Prima di dare una risposta bisogna chiedersi chi sono i friulani. Secondo lo storico Tito Maniacco, sono quelli che, purtroppo, rimangono in silenzio davanti a una classe dirigente sterile e succuba del potere di turno, oppure sono degni nipoti di Luigi Faidutti e Giuseppe Bugatto, deputati del Partito popolare friulano, che nel 1918, al Parlamento di Vienna, osarono chiedere il riconoscimento del Friuli quale entità autonoma.
Gianfranco D'Aronco, considerato un padre della Patrie dal Friûl, sostiene che «nessuno può rinunciare all'autonomismo che di per sé deriva da una legge naturale. Ciascuno di noi friulani deve essere geloso della propria personalità». Parole lapidarie e, per molti versi, un programma di vita. Ma a proposito di “Patria” in Friuli, il labirinto è intircato assai. Troppe sementi autonomiste sono rimaste infeconde, troppi frazionamenti tra i gruppi autonomisti. Insomma, i friulani non riescono a fare squadra. Quel di bessoi ce l'hanno nel Dna.
Alla tavola rotonda, molto affollata, dal titolo Patrie pierdude, l’altra sera per In File 2013 ai Colonos di Villacaccia, si cerca di dare alcune risposte indagando tra i meccanismi che, negli ultimi anni, hanno svuotato l'autonomia regionale. Introdotti da Andrea Valcic, direttore de La Patrie dal Friûl, i relatori esprimono tre visioni del problema: espresse da uno storico, Gianfranco Ellero, da uno studioso delle lingue minoritarie, William Cisilino, e da un comunicatore, Omar Monestier, direttore del Messaggero Veneto.
Per Ellero il regionalismo è un modo di vedere il mondo e la politica e regionalisti si può essere solo se si è autonomisti in senso culturale. «Le uniche idee innovative – afferma – sono state concepite da persone di profonda cultura regionale: Tiziano Tessitori, Pier Paolo Pasolini, Loris Fortuna, Fausto Schiavi, Gino di Caporiacco e Arnaldo Baracetti».
Cisilino parla del libro Sorestants e sotans, una lunga intervista con D'Aronco, in cui il concetto di autonomismo e regionalismo si declina nelle sue contraddizioni e nelle sue realtà. Ricorda che Tessitori si astenne dal voto sullo statuto perché aveva intuito che il Friuli sarebbe stato soffocato dalla Regione.
Di prospettiva l'intervento del direttore Monestier che, invece, mette l’accento su che cosa si può fare adesso per l'autonomia che non ha una vera e propria rappresentanza politica all'interno della Regione. La sensibilità dei friulani riguardo all'autonomia – secondo Monestier – è piuttosto scarsa. Bisogna che nel prossimo nuovo Consiglio regionale ci sia una ferma volontà per la sopravvivenza dell'identità. E proprio al direttore del Messaggero Veneto si chiede ai Colonos, a fine dibattito, di avviare, sulle pagine del giornale, un dibattito sul futuro del Friuli, sulla sua identità e sulla sua autonomia.
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