«Il Friuli vigili, il rischio ’ndrangheta c’è»
GEMONA. Non può più essere considerata un’isola felice il Friuli Venezia Giulia quanto all’infiltrazione di mafia e ’ndrangheta. Secondo Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica al Tribunale di Reggio Calabria e uomo simbolo della lotta alla criminalità organizzata, la regione, già vittima della presenza criminosa legata in particolare alle sostanze stupefacenti, rischia oggi infiltrazioni nell’ambito di maxi-opere come la terza corsia della A4.
Gratteri è tornato ieri sera al Laboratorio della Comunicazione. È stata la sua terza volta a Gemona, segno che negli anni si è creato uno stretto rapporto d’amicizia con il Lab di Emanuela De Marchi, sul filo della naturale propensione che il togato ha nei confronti delle giovani generazioni, cui da anni svela il volto della criminalità organizzata.
– Dottor Gratteri, dunque ritorno al Lab...
«È uno degli inviti che ricevo e accolgo con più piacere perché posso parlare con ragazzi “speciali”, provenienti da tutto il mondo, con conoscenze e culture diverse – ci ha raccontato ieri, raggiunto al telefono poche ore prima dell’appuntamento con i corsisti –. È stimolante sapere come ci vedono, cosa pensano delle mafie e dell’Italia. Sono ormai 25 anni che vado nelle scuole a spiegare ai ragazzi qual è il motivo per cui non conviene essere ’ndranghetisti e delinquere. Mi piace usare le ferie per girare l’Italia a parlare di mafie, di futuro, di modifiche normative e contribuire così a forme le coscienze».
– Il Fvg si può considerare terra al riparo da mafia e ’ndrangheta?
«Le mafie sono presenti dove ci sono da gestire denaro e potere. Qui c’è droga e quindi gente che la vende. Sappiamo che la ’ndrangheta ha quasi il monopolio dell’importazione di cocaina in Europa. Ma in Friuli Venezia Giulia parliamo di una presenza minima rispetto ai problemi grossi, gravi che ci sono in regioni come la Lombardia e il Piemonte».
– Maxi-opere come la terza corsia della A4 possono offrire terreno fertile all’infiltrazione della criminalità organizzata?
«Sì se pensiamo che la ’ndrangheta è leader nei settori del movimento terra e del trasporto d’inerti, che è entrata nella ricostruzione post-terremoto all’Aquila, nella realizzazione della Tav, che si sta muovendo nell’Expo 2015, figuriamoci se si fa sfuggire un’occasione così ghiotta. Senza contare che entrare in opere come questa, anche in veste di subappaltatrice, per la ’ndrangheta è un fatto di prestigio. La politica deve insomma essere vigile... Bisogna stare attenti. Non c’è più il mafioso con la coppola, quel genere di criminali riconoscibile è ormai morto o rinchiuso al 41 bis. Oggi bisogna pensare che lo ’ndranghetista è medico, ingegnere, avvocato, professionista, molto ben mimetizzato nel mondo dell’imprenditoria e della finanza».
– Riforma della giustizia, è un’urgenza?
«Certamente lo è. Bisogna inasprire le pene, informatizzare i processi, cambiare il sistema penitenziario perché non è con gli arresti domiciliari che si risolve il sovraffollamento delle carceri, bensì attraverso trattati bilaterali con i paesi stranieri (per far scontare le pene nei paesi d’origine) e ancora intervenire sul lavoro in carcere come terapia riabilitativa».
– La separazione delle carriere per i magistrati?
«Non penso sia il problema. Credo piuttosto che si debbano depenalizzare i reati di poco conto per far concentrare i magistrati su cose più importanti».
– Pietro e Ingroia, solo per citare alcuni suoi colleghi, hanno scelto di svestire la toga per scendere nell’agone politico. È un salto al quale ha mai pensato o è stato invitato?
«Più volte mi è stato proposto, ma per me non ha senso. Credo di essere più utile facendo ciò che faccio. Un deputato e un senatore non possono cambiare le cose. C’è maggiore possibilità di far qualcosa di positivo per la collettività facendo il magistrato».
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