Il grazie di Maniaglia a chi aiutò la gente a rialzare la testa
GEMONA. Il terremoto ha spezzato le famiglie e unito le comunità friulane a quelle dei soccorritori arrivati da tutta Italia. È il caso di Maniaglia, la frazione di Gemona situata ai piedi del monte Cuarnan. Anche qui il terremoto picchiò duro, rase al suolo quasi tutte le case e provocò una ventina di morti.
Su quelle macerie nacque un’esperienza unica, un legame indissolubile con i volontari arrivati da Montecchio Maggiore, Teora (Irpinia), Milano e Gonars, in quell’angolo di paradiso che la notte del 6 maggio 1976 sembrava sprofondato nell’inferno.
A 40 anni di distanza, la gente di Maniaglia tornerà, come allora, a cenare sotto il tendone con i volontari, lo farà domani sera per dire ancora una volta grazie a tutti coloro che tesero la mano a un popolo che cercava disperatamente di reagire alla tragedia.
Il 7 maggio, come fa a ogni decennale dal terremoto, il Comitato di Maniaglia sorto nelle tendopoli del terremoto per difendere la frazione dall’idea di spostare le case più a valle, accoglierà i volontari che nell’estate 1976 furono al fianco dei terremoti rimasti senza affetti, senza casa e molti anche senza lavoro.
Maniaglia era distrutta. In via IV Novembre e in borgo Simon le case erano accartocciate su se stesse. Le immagini scattate da Sandro Urbani, memoria storica assieme a Dino Patat della frazione, sono impressionanti. Borgo Simon sembrava un campo di battaglia.
Quella notte, chi era uscito indenne dalla tragedia percepiva solo il silenzio di chi se n’era andato per sempre. Inutile provare a chiamare, qualcuno l’ha fatto, ma da sotto quei cumuli pietre e travi non giungeva alcuna voce. L’indomani furono recuperati i corpi privi di vita di una mamma e del suo bambino, degli anziani che quel luogo avevano contribuito a costruire.
I residenti estrassero dalle macerie anche una giovane coppia, lui e lei erano vivi e piangevano la loro bambina. Il corpicino della figlia era al loro fianco, la piccola volò via assieme al boato del sisma. Sotto quelle macerie una mamma, prima di morire, allattò il suo bambino.
Non è facile raccontare i lutti per chi si trovò a dover reagire di fronte a tanta distruzione. Il ricordo delle vittime è scolpito nei loro cuori come l’aiuto ricevuto dai volontari che smettevano di lavorare il venerdì sera e da Vicenza partivano alla volta di Maniaglia per portare un po’ di luce tra tanta disperazione. Domani le mani che 40 anni costruirono i primi ripari torneranno a unirsi in unico grande abbraccio.
L’appuntamento è alle 18 nel prato davanti alla piazza. Maniaglia è l’unica frazione di Gemona a rinnovare questo rito, le famiglie lo fanno autotassandosi e organizzando l’accoglienza nelle loro case ricostruite. Sono attese circa 130 persone.
Arriveranno anche il parroco di Montecchio Maggiore e l’assessore dello stesso Comune alla Protezione civile. L’Euratom sarà rappresentata da alcuni familiari dei volontari che 40 anni fa contribuirono alla rinascita della frazione.
Oggi, invece, il programma prevede l’inaugurazione della mostra fotografica che racconta Maniaglia prima e dopo il terremoto. La rassegna resterà aperta anche domani e domenica nel fabbricato realizzato nell’estate 1976 dai volontari dell’Euratom di Ispra.
Il centro di ricerca investì 100 milioni di vecchie lire per costruire una “Casa comune”, così veniva descritta nelle pagine del bollettino del Coordinamento delle tendopoli. Il 17 maggio 1976 già progettavano il cantiere. Inizialmente il prefabbricato doveva servire per alloggiare la gente durante l’inverno e adibirlo, poi, a caseificio.
Le cose andarono diversamente perché, in quei giorni, nessuno poteva prevedere il secondo terremoto che a settembre avrebbe nuovamente scosso il Friuli. Nei primi due anni, nel prefabbricato Euratom si trasferì la scuola, successivamente le sedi del Cai de del Soccorso alpino.
Onorare i morti e difendere l’anima del luogo resta l’obiettivo del Comitato che pretese di ricostruire le case dov'erano. A eccezione della scuola spostata, negli anni, a Gemona e della chiesa riedificata dall’altra parte della strada, gli edifici sono stati tutti rifatti.
Al posto della vecchia chiesa c’è uno spiazzo da dove l’occhio del visitatore si perde tra la Pedemontana e il forte di Osoppo. Qui i componenti del Comitato hanno piantato due olivi come simbolo d’amicizia nei confronti degli “angeli” del terremoto.
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