Il militare evirato: «Vi racconto i miei tre anni di sofferenze». Poi la proposta a Salvini: «Una legge per il maschilicidio»
Lo sfogo: «Non mi sento più uomo ma la donna che mi ha fatto questo è libera»

UDINE. Le donne ora gli fanno paura. Per lui non sono compagne, amiche o amanti, sono solo possibili assassine. La vita di Cosimo, militare salentino di 37 anni, trapiantato in Friuli, è cambiata in una domenica pomeriggio di tre anni fa, quando in un appartamento di via Maniago una ragazza che aveva conosciuto in discoteca si avventò su di lui con un coltello amputandogli quasi completamente il pene.
«Da allora la mia esistenza è un inferno – è il suo sfogo –, nonostante mi sia sottoposto a sei interventi chirurgici e abbia consultato decine di specialisti, non mi sono più potuto sentire uomo. Sono stato privato della mia virilità, della possibilità di crearmi una famiglia, di avere dei figli e, a fronte di tutto questo, non ho ricevuto delle scuse, una motivazione, un risarcimento, anzi, sono diventato oggetto di scherno, di facili battute da parte di molti colleghi sul luogo di lavoro, come se la violenza nei confronti delle donne fosse un reato e quella nei confronti degli uomini invece no».
Per questo Cosimo ora ha deciso di rivolgersi a Salvini. «Attraverso il mio legale ho inviato al ministro dell’Interno una richiesta di audizione – annuncia – intendo raccontargli la mia storia e sollecitare una legge sul maschilicidio che garantisca forme di tutela contro la violenza sugli uomini».
La sua storia non è facile da raccontare e comincia con un visino dolce: quello di Carolina De Brito Peres, 34 anni. Cosimo l’aveva conosciuta durante una serata con gli amici in un locale notturno. «Ci eravamo sentiti un paio di volte – ricorda – lei mi disse che aveva rotto con l’ex fidanzato, raccontò che la maltrattava e un giorno mi telefonò invitandomi a salire da lei. Quella domenica mi fece entrare nella sua stanza e mi offrì un caffè, poi si fece intraprendente e tentò un approccio. Di quegli attimi non ricordo nulla se non il dolore, il sangue che usciva ovunque e lei che sorrideva, evidentemente contenta di aver sfogato su di me la rabbia e il desiderio di vendetta per quanto aveva subito a causa di qualcun altro».
Al suo ex fidanzato, si è scoperto qualche tempo dopo, Carolina aveva raccontato che nella zona del Brasile da cui proveniva l’evirazione è una pratica cui le donne fanno ricorso per punire gli uomini che tradiscono. A pensarci ora sembra quasi una dichiarazione d’intenti, ma di indizi per capire che quella donna era pericolosa ce n’erano tanti, secondo Cosimo. «Aveva già dato segni di squilibrio in precedenza – assicura – e poche ore prima di accoltellarmi telefonò ai carabinieri annunciando la sua intenzione di farsi dare un passaggio e di aggredire la persona che glielo avrebbe dato. Purtroppo, nessuno ha dato peso a quella telefonata e io ho pagato in prima persona la rabbia e la pericolosità di una persona che si era già resa protagonista di altre violenze».
Giudicata con rito abbreviato, alla donna è stato riconosciuto il vizio parziale di mente e il giudice del tribunale di Udine l’ha condannata a due anni di reclusione, più un ulteriore anno di misura di sicurezza, da eseguirsi a pena espiata in una casa di cura e custodia. In considerazione dell’estrema gravità del pregiudizio fisico e morale patito da Cosimo, che ha visto compromessa la funzione sessuale e riproduttiva, ha riportato dolore fisico perdurante, ricoveri ospedalieri e un danno alla vita di relazione, il giudice ha fissato anche una provvisionale di 200 mila euro.
«Ma io non ho mai ricevuto nulla da quella donna – commenta Cosimo – non un centesimo, non una spiegazione quando l’ho vista sorridente in aula e nemmeno una settimana fa quando l’ho rivista».
Una realtà difficile da accettare per Cosimo, che dopo essersi fatto 14 mesi di malattia ha dovuto prendere atto della grave compromissione del proprio apparato genitale, tanto per funzionalità quanto per dimensioni.
«All’ospedale di Udine, dove sono stato operato, mi avevano assicurato la riuscita dell’intervento, ma non è andata affatto così, tant’è che ho promosso una richiesta di risarcimento nei confronti di chi mi ha operato» è il racconto del militare. «Sostenuto dall’affetto dei miei genitori, ho cominciato a vagare da uno studio medico all’altro, a Roma, a Torino e a Belgrado, lasciando dietro a me una serie interminabile di spese e di delusioni. Ma finalmente – annuncia – un team di medici provenienti dalla Gran Bretagna e da Israele hanno appreso del mio caso e si sono offerti di operarmi gratuitamente per darmi la possibilità di riavere un pene di dimensioni normali. Li ho incontrati a Roma pochi giorni fa e a marzo dovrei iniziare una terapia che mi preparerà all’intervento. Ho paura di rimanere ancora deluso e di non risvegliarmi, ma continuare così non è possibile. Voglio tornare a sentirmi un uomo, vedere un futuro davanti, ma non voglio che altri debbano affrontare ciò che è capitato a me, per questo chiedo che si metta mano a una legge che garantisca pene adeguate, senza scappatoie o sconti alle donne che commettono violenza nei confronti degli uomini».
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